Introduzione. Il grande mistero del parcheggio – Ebook gratis per gli iscritti online 2023 alla Fiab e per i Comuni Ciclabili. L’ebook è anche acquistabile in formato ePub/Kindle su Amazon dove è possibile scaricare gratis l’indice e i primi capitoli.
‘Il parcheggio è un fenomeno elusivo e poco conosciuto, nonostante sia un problema quotidiano per milioni di automobilisti.
Per molte persone la soluzione sembra semplice: basta fare più parcheggi. È la soluzione che è stata adottata per oltre 120 anni di storia dell’automobile, ma non ha mai funzionato perché se fai più parcheggi semplicemente incoraggi l’uso dell’automobile, avviando un circolo vizioso che è sotto agli occhi di tutti.
Purtroppo la soluzione non è così facile perché entrano in ballo problemi di gestione e ottimizzazione poco compresi da automobilisti, polizie locali, amministratori pubblici.
Questa breve pubblicazione cerca di chiarire al grande pubblico, agli automobilisti, a chiunque sia interessato a problemi come traffico, mobilità e ambiente, ma anche a molti tecnici e amministratori pubblici un mistero che abbiamo sotto gli occhi da cento anni in tutte le città del mondo: il mistero del parcheggio.
Come mai da quando esistono le auto esistono i problemi di parcheggio, ma nessuno è ancora riuscito a risolverli?
Solo chi ha un posto auto privato a casa e un posto auto garantito al lavoro è esentato dai suoi problemi — ma non sempre, perché ogni altra volta che si muove in un’area urbana, per vacanza, per lavoro o per commissioni, molto spesso avrà difficoltà a parcheggiare: nelle aree congestionate fino al 30% del traffico urbano è costituito da automobilisti che girano alla ricerca di un parcheggio, dedicandovi all’incombenza da 3 a 15 minuti di tempo ovvero un tempo che spesso, in città, è più lungo del viaggio stesso.
Per quali motivi raramente è facile parcheggiare e quasi sempre, proprio quando ne hai più bisogno, è difficile trovare posto?
In questo libro cercheremo di capire perché e di trovare qualche soluzione.’
Dall’ebook ‘Come risolvere i problemi di parcheggio nel tuo comune’, di Gianni Lombardi, con prefazione di Alessandro Tursi (Architetto, urbanista e presidente Fiab) ed edito da Fiab, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta .
I giornalisti spesso descrivono gli incidenti stradali in modo paradossale e assurdo, e non se ne rendono conto. Per esempio, come si vede nell’immagine sopra, le automobili sembrano animate di vita propria, viaggiano contromano, urtano i veicoli parcheggiati e talvolta si rovesciano da sole.
In questo ebook in formato ePub (gratis), pdf (gratis) e Kindle (a pagamento) una breve storia del rapporto fra giornalismo e automobile, tre studi scientifici sul tema di come i giornalisti trattano gli incidenti stradali e molti esempi assurdi e paradossali ma purtroppo frequenti e normali.
Il breve libro infatti contiene anche l’analisi di numerosi articoli della stampa italiana (con casi assurdi e paradossali, ma frequenti e normali in cronaca locale: auto a guida autonoma, malori diagnosticati a distanza, incidenti spettacolari, carambole, infine pedoni e ciclisti che si fanno investire o che vengono urtati dalle auto). A conclusione del libro, un raggio di speranza: le linee guida per i giornalisti inglesi, rilasciate nel 2019, che possono aiutare a correggere il fenomeno e scrivere articoli migliori.
Lo scopo del libro, gratuito, è fare divulgazione sulle distorsioni, in gran parte inconsapevoli, che la stampa opera nel raccontare l’incidentalità stradale. Condividi e rt #ebook #gratis #benzinazero #giornali #giornalismo #incidenti
Con analisi di articoli dall’Eco del Chisone, Sky Tg24, La Repubblica, La Stampa, Varese Laghi, Torino Today, La Provincia Pavese, Frosinone Today, La Nazione, Padova Oggi, il Messaggero Veneto, Bologna Today, il Quotidiano Piemontese e altre testate.
Una buona rete di piste ciclabili, ben progettata e ben raccordata, agevola anche l’autonomia e le possibilità di spostamento dei disabili con sedie a rotelle, veicoli elettrici monoposto, biciclette elettriche a tre ruote.
Al contrario di quel che si pensa, la bicicletta è molto più democratica e inclusiva dell’automobile, soprattutto in presenza di una buona rete di piste ciclabili:
Costa meno
Non richiede patente, bollo, libretto di circolazione
Comporta in genere costi di manutenzione minimi
A basse velocità è meno pericolosa dell’auto per muoversi in città, soprattutto nelle versioni a tre e quattro ruote
In generale non comporta problemi di parcheggio
Nelle versioni a tre ruote non comporta problemi di equilibrio per il ciclista anziano
Le piste ciclabili ben progettate non hanno barriere architettoniche (se ne hanno sono mal progettate o mal realizzate)
Esistono innumerevoli veicoli, basati sulla tecnologia della bicicletta o sulla tecnologia dello scooter elettrico, a due, tre o quattro ruote, adatti per i disabili e perfettamente utilizzabili sulle piste ciclabili
[AGGIORNAMENTO 29 giugno 2022]
Il decreto legge n.68 del 16 giugno 2022, infatti, ha stabilito che «le macchine per uso di persone con disabilità possono circolare sui percorsi ciclabili e sugli itinerari ciclopedonali, nonché, se asservite da motore, sulle piste ciclabili, sulle corsie ciclabili, sulle corsie ciclabili per doppio senso ciclabile e sulle strade urbane».
La velocità dei veicoli coinvolti negli incidenti stradali è sempre una causa importante dell’incidente: maggiore è la velocità e maggiori sono i danni a cose e persone. Questo è ancora più evidente nel caso di incidenti che coinvolgono ciclisti e pedoni, come si vede bene dallo schema:
30 km/h: possibilità di morte della persona investita 10%
40 km/h: possibilità di morte della persona investita 32%
50 km/h: possibilità di morte della persona investita 80%
60 km/h: possibilità di morte della persona investita 95%
Le velocità da 40 a 60 km/h vengono considerate sicure dagli automobilisti, e molti considerano andare a 60 in una strada con limite a 50 (o andare a 40 in una strada con limite a 30) dei peccati veniali… in realtà sono comportamenti molto pericolosi, potenzialmente criminali in caso di strade urbane frequentate da pedoni e ciclisti, fra cui anche bambini che possono non avere esperienza dei pericoli della strada o anziani che possono avere i riflessi rallentati e cattiva capacità di calcolare la velocità dei veicoli in arrivo.
I veicoli a motore uccidono. Sopra i 30 km/h uccidono di più.
Gli automobilisti sono gli utenti della strada che meno amano il loro percorso casa-lavoro.
Questo significa che gli pseudo-liberali che dicono ‘ognuno dovrebbe essere libero di usare il mezzo che preferisce’ dovrebbero chiedere meno parcheggi, meno strade e più piste ciclabili e marciapiedi più larghi, perché da molte evidenze e ricerche risulta che molti automobilisti si sentono obbligati ad usare l’auto, e molti preferirebbero usare un mezzo diverso per andare al lavoro.
Secondo uno studio fatto a Vancouver e pubblicato su ScienceDirect, chi abita entro 300 metri da una pista ciclabile, dopo la sua apertura ha visto una crescita della propria attività fisica (il raddoppio del tempo dedicato a camminare o pedalare), dimezzando le probabilità di trascorrere nove ore di seguito in attività esclusivamente sedentarie.
Inoltre, sempre dopo la costruzione della pista ciclabile, gli spostamenti in bicicletta sono aumentati del 32% mentre sono diminuiti del 23% gli spostamenti con veicoli a motore.
Those who live near the greenway — within 300 metres of the route — saw their odds of achieving an average of 20 minutes of moderate-to-vigorous physical activity double a year after the opening of the greenway. Additionally, the odds of being sedentary for over nine hours plummeted by 54%.
These findings are based on self-reported measures of physical activity and sedentary behaviour, with a sample size of 524 participants that had a median age of 44. Surveys were conducted in 2012/13 to establish a baseline and after the completion of the greenway in 2014/15 as a follow-up.
Moreover, daily bike trips increased by 32%, while daily trips using a personal vehicle fell by 23%.
Secondo un’analisi dei costi sociali di automobile, bicicletta e andare a piedi, in tutta Europa il passivo generato dall’uso dell’automobile ammonta a circa 500 miliardi di euro di costi sociali. Invece l’uso della bicicletta e gli spostamenti a piedi generano benefici per rispettivamente 24 e 66 miliardi di euro. In pratica ogni km percorso genera:
In automobile costi sociali per 0,11 €
In bicicletta benefici sociali per 0,18 €
A piedi benefici sociali per 0,37 €
I benefici sociali di bicicletta e camminare consistono principalmente in risparmi sanitari e migliore salute e produttività dei cittadini, a cui va aggiunta la mancata usura delle strade (è il continuo passaggio di automobili, furgoni e camion che usura le strade e trasforma le crepe in buche). I costi sociali dell’automobile includono, fra gli altri, la manutenzione delle strade, la costruzione di autostrade e viadotti, gli incidenti stradali, l’inquinamento, le ampie aree destinate a parcheggi, tutti costi che superano ampiamente tasse e pedaggi collegati ad auto, carburanti e strade.
Abstract:
Cost-benefit-analyses (CBA) are widely used to assess transport projects. Comparing various CBA frameworks, this paper concludes that the range of parameters considered in EU transport CBA is limited. A comprehensive list of criteria is presented, and unit costs identified. These are used to calculate the external and private cost of automobility, cycling and walking in the European Union. Results suggest that each kilometer driven by car incurs an external cost of €0.11, while cycling and walking represent benefits of €0.18 and €0.37 per kilometer. Extrapolated to the total number of passenger kilometers driven, cycled or walked in the European Union, the cost of automobility is about €500 billion per year. Due to positive health effects, cycling is an external benefit worth €24 billion per year and walking €66 billion per year. CBA frameworks in the EU should be widened to better include the full range of externalities, and, where feasible, be used comparatively to better understand the consequences of different transport investment decisions.
Molti pensano che possedere un’automobile sia indispensabile. In realtà in molti casi è una spesa inutile, come dimostra l’esperienza danese e olandese. Una cargo bike è più che sufficiente per la maggior parte delle esigenze familiari: portare i bambini, fare la spesa, trasportare mobili e oggetti relativamente ingombranti, trasportare animali domestici, fare piccoli traslochi.
La cargo bike è anche complessivamente più sicura: il principale pericolo sono le automobili, ma solo sulle strade dove gli automobilisti si comportano male e vanno troppo veloci guidando in modo aggressivo. Se le persone che guidano le auto sono tranquille, disciplinate ed educate, i pericoli sono vicini a zero.
Alle cargo bike si possono inoltre applicare motori elettrici per trasformarle in biciclette elettriche a pedalata assistita, aumentando le possibilità di carico e le distanze percorribili, oppure migliorando le possibilità di superare salite anche ripide.
I diversi modelli di cargo bike possono trasportare da 30 a 125 kg di carico, rendendole analoghe alle esigenze di trasporto di molte automobili e furgoni: gran parte dei furgoni che circolano nelle nostre città viaggiano vuoti o semi-vuoti, con pochi kg di carico, per non parlare delle automobili che spesso trasportano solo il guidatore e la sua borsa.
Confronto dell’anidride carbonica prodotta e dello spazio urbano occupato dai diversi mezzi di trasporto.
Da notare che, per agevolare l’automobile moderna e l’auto elettrica, nel primo caso si è presa in considerazione un’automobile con due persone a bordo (la media è normalmente inferiore) e nel secondo caso sia l’auto elettrica alimentata dalla rete convenzionale (con produzione di CO2, indirettamente attraverso la produzione di energia elettrica, analoga a quella dell’auto a benzina), sia quella alimentata con energie rinnovabili: solare, eolico, idroelettrico (con produzione zero di CO2).
L’Australia spende ogni anno circa 38 miliardi di dollari fra infrastruttura stradale e incidenti stradali ma raccoglie solo 35 miliardi dagli automobilisti… resta un disavanzo di 3 miliardi che deve essere sovvenzionato dai contribuenti[5]. E questo prima di considerare i costi non monetari dell’uso dell’auto.
La nostra analisi mostra che ogni chilometro di guida impone 58 centesimi di costo alla società[6]. Paghiamo per l’auto (manutenzione e carburanti, più tasse che vanno in parte per mantenere l’infrastruttura stradale), ma non paghiamo per l’impatto dell’uso dell’auto su inquinamento, rumore, congestione stradale, incidenti, salute ridotta dalla vita sedentaria, né i costi totali della manutenzione stradale.
Australia spends around $38 billion on the road system and road trauma each year, but only collects $35 billion from motorists— that’s a $3 billion shortfall that has to be funded by all tax payers[5]. And that’s before the non-monetary costs of driving are considered.
Our analysis shows that every kilometre we drive imposes 58 cents in costs to society[6]. We may pay for our car (its maintenance and fuel, plus some taxes and registration that go part-way towards maintaining existing roads and building new ones), but we don’t pay for the impact of our car’s use on pollution, noise, traffic congestion, accidents, reduced health outcomes from sedentary behaviour, land use costs, or even the full costs of road maintenance.
Nell’articolo è interessante anche l’analisi dei tempi di spostamento (distanza in linea d’aria circa 10 km; distanza effettiva dai 10 ai 17 km a seconda del percorso, più diretto per la bici, più tortuoso per vincoli stradali per auto e tram):
Tram: 25 minuti di tragitto, frequenza del tram ogni 20 minuti.
Bicicletta: 39 minuti di tragitto.
Automobile: da 26 a 45 minuti a seconda delle condizioni di traffico.
È interessante il confronto perché, nelle discussioni da bar, l’automobilista tende a sottostimare sistematicamente i tempi di percorso (ricordando psicologicamente solo i tempi migliori, oppure trascurando i tempi per la ricerca di parcheggio). Dal confronto oggettivo l’automobile risulta invece non così efficiente com’è dipinta dagli automobilisti:
Tram: sono 25 minuti di tragitto generalmente costanti, perché il tram in genere viaggia in sede propria e ha diritto di precedenza. A questi vanno aggiunti i tempi di attesa alla fermata: in media 10 minuti se il tram passa ogni 20. Ma, psicologicamente, l’automobilista integralista tende ad esagerare sia il tragitto sia l’attesa, per cui, nella sua mente questo percorso spesso diventa 25+20 e oltre.
Bicicletta: anche nel caso della bicicletta i 39 minuti di tragitto sono abbastanza costanti. In bici non esiste o quasi la possibilità di dover stare fermi in coda, quindi se oggi ci metto 38 minuti domani ce ne metterò 40, ma i tempi cambiano di poco di giorno in giorno. Inoltre, anche se i tempi sono più lunghi rispetto al transito automobilistico in condizioni ottimali (ma non così lunghi…), facendo 40 minuti di bici faccio movimento utile per la salute e risparmio tempo rispetto ad andare in palestra o fare mezzora di jogging ad hoc.
Automobile: ci metto da 26 a 45 minuti a seconda delle condizioni di traffico. Quindi in condizioni ottimali ci metto comunque il 60% del tempo della bicicletta, e in condizioni difficili ci metto di più che ad andare in bici. Mediamente, ci metto lo stesso tempo che in tram.
Con tanti saluti alla presunta maggiore efficienza dell’automobile. Considerando i costi diretti e indiretti, l’automobile in ambito urbano è chiaramente inefficiente, anche se ogni tanto permette di guadagnare dieci minuti.
Questa copertina del 1964 evidenzia la promessa, sempre mancata, di risolvere il problema del traffico con nuove strade e nuove infrastrutture stradali. Il ponte Morandi, inaugurato nel 1967 e qui rappresentato come futura costruzione, è crollato il 14 agosto 2018, dopo cinquant’anni di continue manutenzioni.
In realtà, come è evidente con il senno di poi, creare nuove strade e nuove autostrade non può che incentivare l’uso dell’auto, e quindi il traffico e la congestione automobilistica.
Spesso, parlando di mobilità urbana, quando si propone la bicicletta come veicolo privato tuttofare, scatta l’obiezione: “Ma e gli anziani e i disabili come fanno ad andare in bicicletta?”
È un’obiezione che di solito viene fatta da chi non ne sa niente, e qualifica la bicicletta come un veicolo per atleti che richiede grande sforzo fisico. Nulla di più sbagliato.
La bicicletta è il veicolo con la migliore efficienza energetica, e richiede meno energia di camminare. Per un anziano, e per molti disabili, andare in bicicletta è molto meno faticoso di camminare, ovvero permette di andare più lontano in meno tempo. Se ci sono problemi di equilibrio, è possibile usare una bici a tre ruote, come si vede nelle fotografie.
Se ci sono problemi di forza fisica, oppure i percorsi sono lunghi o con salite, le bici e i tricicli possono essere a pedalata assistita con il motore elettrico che offre diversi livelli di assistenza e supporto.
In Danimarca e in Olanda il 90% della popolazione usa la bicicletta almeno una volta alla settimana. Normalmente, al massimo il 10% della popolazione non è in grado di usare una bicicletta o un triciclo per insormontabili limiti fisici… sono molti di più coloro che non possono usare l’automobile, visto che la patente automobilistica è distribuita in percentuali minori (in Italia l’80% degli uomini ha la patente, mentre solo il 50% delle donne: le persone che sono fisicamente e legalmente in grado di andare in bici sono molte di più di quelle che sono in grado di guidare un’automobile).
Spesso gli anziani vengono usati come scudi umani dagli automobilisti per non togliere parcheggi o per non pedonalizzare le vie: “e gli anziani come fanno?” è la scusa pronta. Fanno che si muovono meglio senza auto, perché andare in bici è più facile. L’unico pericolo per gli anziani in bicicletta? Gli automobilisti.
L’Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite, ha deliberato che, a partire dal 2018, il 3 giugno sarà la Giornata Internazionale della Bicicletta. La risoluzione è stata presa con il consenso dei 193 stati membri. Tutti gli stati membri sono invitati a celebrare e promuovere la consapevolezza e l’uso della bicicletta.
La risoluzione riconosce la
unicità, longevità e versatilità della bicicletta, un mezzo di trasporto in uso da due secoli perché semplice, economico, affidabile, pulito, ecologico e sostenibile, promuovendo la gestione ambientale e la buona salute.
“uniqueness, longevity and versatility of the bicycle, which has been in use for two centuries, and that it is a simple, affordable, reliable, clean and environmentally fit sustainable means of transportation, fostering environmental stewardship and health.”
Quattro nuove rotonde, una larghezza complessiva di almeno 30 metri, centinaia di alberi abbattuti, dividendo in due la pineta con una strada ad alto scorrimento. Negli anni, saranno inoltre forti le tentazioni di costruire qualcosa lungo il percorso. (immagine dal Tirreno)
È possibile, forse, che questo avvenga ma solo se via Coppino viene trasformata in ztl con un’ampia pedonalizzazione della Darsena e con una buona integrazione e collegamento con la modesta ma importante rete di piste ciclabili del centro di Viareggio (sulla pista ciclabile del lungomare in alta stagione passano oltre 20.000 bici al giorno).
Siccome nulla di questo è previsto, almeno per ora, gli effetti prevedibili della nuova strada saranno quelli di portare più auto in Darsena e a sud di Viareggio:
Ovvero più traffico e più problemi di parcheggio.
Nessuno costruisce una nuova strada per dimezzare il traffico nei percorsi paralleli e, senza divieti di transito o limitazioni al traffico, questo effetto non si verifica mai. Ecco perché:
Primo effetto della nuova strada: crea nuovi incroci. Che siano risolti con semafori, con segnaletica di stop e dare la precedenza o con rotonde, sono comunque punti di congestione dove si possono creare code e rallentamenti; Più strade costruisci, più aumenta il traffico. Ecco perché (1).
Secondo effetto: ci sono un sacco di auto pronte a usare la nuova strada, perché le auto stanno ferme il 95% del tempo. Questo significa che per ogni auto in circolazione, ce ne sono una ventina parcheggiate (il numero varia a seconda delle ore del giorno, diminuisce all’ora di punta, aumenta nelle ore notturne). Quindi, se costruisci una nuova strada, in qualsiasi momento c’è un numero enorme di auto che potenzialmente possono essere usate per fare il percorso “perché adesso c’è la nuova strada”, “perché adesso c’è meno traffico”, “perché è più veloce” eccetera. Perché costruire nuove strade porta più traffico auto (2).
E infatti, nella storia, non si è mai verificato che nuove strade risolvessero il problema del traffico:
Inoltre le strade a scorrimento veloce quando attraversano aree naturali creano degrado ecologico, mentre quando attraversano quartieri abitati creano degrado urbano (e questa strada riesce a fare entrambe le cose):
In conclusione: grazie all’Asse, più traffico e più problemi di parcheggio.
Infine: se porti tante auto in una zona urbana, ammesso di raggiungere le mitologiche promesse di “alleggerimento del traffico”, dove le parcheggi? Ogni auto e furgone che arriva in darsena, una volta arrivata con pochi minuti di percorso stradale (si spera), avrà bisogno di sostare da un’oretta a tutta la giornata. Più le auto arrivano velocemente, “fluidificate”, più parcheggi serviranno perché il tempo di sosta di un veicolo mediamente è sempre più lungo del tempo di transito. E per parcheggiare 400 auto serve un intero ettaro di spazio.
Una persona che usa l’auto tutti i giorni per andare al lavoro la usa circa due ore al giorno. Le altre 22 ore l’auto resta ferma parcheggiata, spesso occupando spazio pubblico. E moltissime automobili vengono usate molto meno.
È il paradosso dell’auto privata. Il traffico viene generato dal 5% di auto in circolazione, percentuale che in città arriva intorno al 10% nelle ore di punta e il 15-20% su base nazionale nelle giornate di grande esodo estivo per le vacanze. Qui per esempio si parla di 8 milioni di veicoli in circolazione nella rete autostradale in un weekend critico. I veicoli immatricolati in Italia esclusi i motocicli sono circa 43 milioni. Otto milioni (che comunque non sono tutti contemporaneamente in movimento) sono circa il 18%.
La grande voracità di spazio urbano generato dall’auto privata è determinata da due fattori:
La necessità di parcheggiare. Siccome questo avviene in ogni luogo dove l’auto si sposta, questo genera la necessità di poter disporre di più posti auto per ciascuna macchina. Nel caso di chi ha il box privato e un parcheggio riservato al lavoro, questo privilegio significa che ci sono due posti auto sempre riservati a quella particolare automobile. Ma anche chi non ha posti riservati ha necessità di trovare un posto sottocasa e uno vicino al lavoro. 400 automobili richiedono un ettaro di spazio per parcheggiare (12,5 mq per il posto auto, più altrettanto per manovre ed entrare e uscire dal parcheggio). A Los Angeles, per esempio, ci sono 3,3 posti auto per ciascun veicolo presente in città, e ancora non bastano.
Il grande spazio occupato quando l’auto circola. Duecento automobili ferme in coda richiedono più di un km di strada, questo per trasportare al massimo 250 persone (1,2 persone per veicolo: in città solo un’auto su cinque ha anche un passeggero a bordo). Quando sono in movimento ne richiedono ancora di più, per le distanze di sicurezza. Anche se non sempre sono rispettate, quando le auto viaggiano a 40 km/h ci sono almeno 20 metri fra una e l’altra. Questo significa 4 automobili ogni 100 metri circa, 40 auto in un km di strada. E più l’auto va veloce, più serve spazio. Infatti la maggiore efficienza dell’automobile si ha quando i veicoli viaggiano circa a 20 km/h e tengono le distanze: in quel caso su una corsia stradale riescono a transitare circa 2.000 veicoli l’ora (contro 14.000 biciclette). È il motivo per cui, controintuitivamente, circolare a 20-30 km/h e in modo regolare fluidifica il traffico molto di più di accelerare quando possibile. Ma la maggior parte degli automobilisti e molti pianificatori urbani non l’hanno ancora capito.
Quindi il paradosso dell’auto privata è questo: trascorre oltre il 95% del tempo ferma, ad occupare prezioso spazio urbano.
Fra le obiezioni ai suoi suggerimenti, due perle di uomini politici inesperti o totalmente disinformati sul tema della mobilità urbana:
“In Commissione ho sentito che non è consigliabile andare in bicicletta in città per via dell’inquinamento eccessivo.”
E da cosa è causato l’inquinamento in città se non in buona parte dal traffico automobilistico? Inoltre il politico che ha espresso la riserva, come molti automobilisti disinformati non conosce questi due fatti:
I ciclisti e i pedoni sono meno esposti all’inquinamento rispetto a chi sta in automobile perché le auto nel traffico sono più vicine alla fonte dello smog e ci trascorrono più tempo;
“Il Presidente della Commissione, Altero Matteoli di Forza Italia, ha liquidato la questione dicendo che l’Italia non è mica l’Olanda, dimenticandosi che l’Olanda non è nata terra di biciclette, ma ci è diventata con finanziamenti, infrastrutture, cambio di mentalità e decenni di lavori.”
In pratica, in Parlamento, uomini politici che governano l’Italia in tema di mobilità sono disinformati come il cittadino senza istruzione che sul tema ha come competenza solo il fatto di aver preso la patente.
L’aria all’interno dell’abitacolo di un’auto con i finestrini chiusi è più inquinata dell’aria esterna. Il motivo è che, nonostante i filtri anti-polline, le polveri sottili e i gas nocivi tendono ad accumularsi in un ambiente chiuso. Notare fra l’altro che commercialmente vengono chiamati “filtri anti-polline”, non “anti-smog” infatti: se si chiamassero anti-smog o anti-inquinamento sarebbe una truffa: i filtri antipolline sono efficaci solo nel filtrare i pollini e le particelle di polvere più grossolane, e solo se vengono cambiati frequentemente, ovvero almeno ogni sei mesi se si usa l’auto tutti i giorni.
In particolare per i bambini piccoli stare chiusi in un’auto nel traffico è peggio di camminare, andare in bici o essere trasportati in passeggino nella stessa via in cui transita l’auto. Lo afferma lo scienziato inglese Sir David King, in questo articolo del Guardian.
Nell’abitacolo dell’automobile i veleni e le polveri si accumulano
L’inquinamento atmosferico danneggia i polmoni dei bambini piccoli, con potenziali danni anche per il DNA delle cellule.
Una serie di esperimenti hanno dimostrato che chi guida l’auto e i passeggeri respirano aria più inquinata rispetto a chi va in bici o cammina nella stessa strada.
Il professor Stephen Holgate, esperto di malattie respiratorie della Southampton University, afferma inoltre che l’inquinamento è “da nove a dodici volte più elevato all’interno dell’auto rispetto a fuori. I bambini stanno dietro e spesso l’auto ha i ventilatori accesi, aspirando i fumi di scarico dei veicoli davanti e portandoli direttamente verso il retro dell’abitacolo”.
Molti genitori sono confusi perché, anche grazie al marketing delle aziende automobilistiche che presentano sempre i veicoli come “sicuri” ed “ecologici”, pensano che l’aria all’interno dell’abitacolo sia migliore di quella esterna. Non è vero: nell’abitacolo veleni e polveri si accumulano.
Confronto delle capacità di trasporto persone in un’ora su una singola carreggiata o binario dei diversi mezzi di trasporto.
Ecco perché c’è traffico in tutte le città del mondo: perché l’automobile è spettacolarmente inefficiente per trasportare persone: troppo ingombrante. E più aumentano le auto, più aumenta la congestione, dovuta anche all’enorme spazio richiesto per i parcheggi.
Numero di persone trasportate ogni ora su una corsia stradale di 3,5 metri di larghezza:
Auto: 2.000 (una persona a bordo)
Autobus: 9.000
Bicicletta: 14.000
Pedoni: 19.000
Autobus su corsia preferenziale 20.000
Tram 22.000
Rapid Transit Bus 43.000
Metropolitana 80.000
Treno locale 100.000
Si può fare l’obiezione che le auto possono trasportare 4-5 persone e non solo una. È vero, ma anche nell’ora di punta è molto raro vedere un’automobile con più di una o due persone a bordo. In genere l’occupazione media è 1,2 persone, ovvero solo un’auto su cinque ha due persone a bordo. Le automobili con quattro persone a bordo sono mosche bianche.
Al contrario, è vero che gli autobus spesso viaggiano semi-vuoti. Ma non nelle ore di punta: in questi orari i mezzi pubblici sono sempre pieni o quasi pieni, anche nelle città dove questi sono considerati inefficienti.
Più gente, più clienti
Il confronto auto-pedoni-ciclisti illustra inoltre bene il motivo per cui, per i commercianti, le zone pedonali e le zone a traffico limitato sono una benedizione… purché il transito di auto sia realmente scoraggiato mentre sia attivamente incoraggiato e facilitato l’arrivo di pedoni e ciclisti.
[Infografica da un tweet di Taras Grescoe, autore e saggista, esperto di mobilità]
One lane for:
Light Rail—moves 22,000 passengers/hr
Bikes—14,000.
Cars—2,000
Can someone remind me why we still build cities around cars? pic.twitter.com/LBtFcu0kkE
Se guidando non vedi un palo e ci vai contro, non sai guidare, oppure guidavi troppo veloce, oppure eri distratto e non guardavi con sufficiente attenzione dove andavi, oppure il tuo apparato visivo, anche a causa della velocità eccessiva, era sovraccarico di stimoli e ti ha tratto in inganno. Non ci sono molte altre possibilità.
“Non l’ho visto”, nel caso di investimento di ciclisti e pedoni dovrebbe essere un’aggravante, invece del modo istintivo di scusarsi per la disgrazia “involontaria”. Se guidi un’auto o un furgone e investi un ciclista o un pedone che “non hai visto” nella maggior parte dei casi è per due motivi:
Guidavi distratto
Guidavi troppo veloce per le condizioni della strada.
Va aggiunto che oltre metà dei ciclisti uccisi in Italia hanno più di 65 anni: difficile sostenere che siano tutti ciclisti spericolati che corrono rischi inutili. Più probabile che vengano investiti perché l’autista di turno “non li aveva visti”.
Ciclisti e pedoni, anche quando attraversano un incrocio o una strada rischiosa, generalmente ci tengono alla propria incolumità, probabilmente molto di più di quanto un automobilista ci tenga alla carrozzeria dell’auto. Se avviene l’incidente è perché pedone e ciclista hanno calcolato male la velocità dei veicoli in arrivo… e perché i veicoli in arrivo andavano troppo veloci.
Se non erano troppo veloci, facevano in tempo a frenare. A meno che, naturalmente non valesse l’altra ipotesi: erano distratti. Cioè, di nuovo, troppo veloci.
In sintesi costruire parcheggi rende più costosa la costruzione di abitazioni e uffici. Infatti, per esempio, un parcheggio aggiunge oltre il 60% del costo di costruzione di un centro commerciale, e anche di più se il parcheggio è sotterraneo.
Costruire parcheggi può costare da 8.000 a 30.000 euro per posto auto, a seconda se si tratta di un parcheggio a raso, un autosilo o un parcheggio sotterraneo. Si tratta di spazio che rende molto di meno dello spazio dedicato a uffici, negozi e abitazioni. Lo dimostra anche il fatto che nelle aree urbane più ci sono parcheggi e minori sono i valori degli immobili della zona. Le aree commerciali più pregiate si trovano in genere in aree pedonali e zone a traffico limitato, ben servite da mezzi pubblici e spesso facilmente accessibili con le piste ciclabili.
Qui altri articoli di Benzina Zero sul tema dei parcheggi:
I parcheggi gratis peggiorano il traffico. Un fenomeno scoperto sin dagli anni 20 del secolo scorso: in città servono da 5 a 30 minuti di tempo per trovare parcheggio e fino al 30% del traffico è costituito da auto che girano a vuoto in cerca di posto.
Periodicamente giornalisti, produttori e appassionati di automobili parlano sognanti del veicolo che secondo loro risolverà tutti i problemi: l’auto elettrica. A parte che l’auto elettrica di problemi ne risolve solo uno, l’inquinamento locale, gli altri restano, questo è il sacro Graal di cui si aspetta l’imminente venuta:
L’auto elettrica economica. Per esempio Elon Musk promette di lanciare presto sul mercato una Tesla da 30.000 dollari, modello economico della sua gamma. Ma, oltre al prezzo (le auto elettriche più economiche attualmente si situano intorno ai 20.000-30.000 euro, che per ora possono scendere solo grazie a generose sovvenzioni statali), restano da risolvere due problemi: l’autonomia e la semplicità di ricarica.
Costo. Le bici elettriche a pedalata assistita hanno costi che partono dai 700 euro in su, con i modelli più prestazionali e affidabili dai 1.200 euro ai 3.000 euro, e i modelli più prestigiosi sopra la fascia dei 5.000 euro. I prezzi potrebbero scendere con economie di scala maggiori (l’industria della bici produce nell’ordine delle migliaia e delle decine di migliaia di unità per modello, laddove l’auto va sulle centinaia di migliaia, con economie di scala migliori), ma sono comunque competitivi con gli scooter e alla portata di chiunque lavori e abbia bisogno di un mezzo per muoversi in città.
Autonomia. Le bici elettriche offrono 70-180 km di autonomia, più che sufficienti per muoversi in città e in ambiente misto per qualsiasi pendolare non estremo (chi lavora a 30-50 km da casa è più l’eccezione che la norma: la maggioranza degli italiani lavora o studia a pochi km da casa).
Ricarica. Ricaricare una bici elettrica è semplice: se dove la leghi e parcheggi non c’è una presa elettrica, nella peggiore delle ipotesi si può staccare la batteria e portarla in casa o in ufficio per ricaricarla, oppure tenere due batterie, una sempre in carica e una sempre sulla bici (anche se non tutti i modelli hanno batterie staccabili o rapidamente sostituibili).
Dov’è l’errore?
Anche se la tecnologia della bici elettrica ha ancora margini di miglioramento, e ulteriori possibilità di riduzione dei costi, è comunque evidentemente molto più matura e accessibile della tecnologia dell’auto elettrica. Dov’è l’errore strategico dell’auto elettrica? È un errore voluto e consapevole, che pagheremo caro nei prossimi decenni:
Voler realizzare l’auto tradizionale, ma elettrica, ovvero
L’auto da due tonnellate che va da 0 a 100 in 3 secondi anche col motore elettrico.
L’auto da due tonnellate che ha 600 km di autonomia anche col motore elettrico.
Questo comporta problemi di peso, di prestazioni, di sicurezza che alzano i consumi, i conseguenti tempi di ricarica, e i problemi di autonomia: le batterie pesano e, se vuoi portare in giro due tonnellate di veicolo a 130 km/h devi avere batterie molto più pesanti e capienti di una bici elettrica che pesa da 12 a 25 kg a seconda di modello e tecnologie e che ti permette di muoverti agilmente in città a 8-15 km/h (e in genere più velocemente dell’auto nei percorsi inferiori a 5 km).
La mini-utilitaria elettrica Ora, se si volesse realizzare un quadriciclo o un triciclo a pedalata assistita, anche coperto per non prendere pioggia e freddo, in grado di trasportare due persone e un po’ di bagaglio, probabilmente non ci vorrebbe molto: batterie relativamente piccole, un motore adeguato, una carrozzeria o una capote leggera. Per esempio, dal lato strettamente ciclistico DHL sta già sperimentando quadricicli elettrici da carico con 125 kg di portata.
Ma l’idea di produrre mini-veicoli che vanno a 10-20 km/h in città (che è più o meno la velocità media delle auto tradizionali nelle ore di punta e semi-punta) per fare 30-50 km al giorno spaventa l’industria dell’auto tradizionale: in realtà vogliono guadagnare vendendo veicoli elettrici da due tonnellate, lunghi cinque metri, che costano cinque o dieci volte di più, offrendo prestazioni che in città non servono a niente, visto che la velocità media delle auto in città è comunque di 8 km/h nelle ore di punta e 16 km/h nelle altre ore, con velocità medie più elevate solo nelle primissime ore del mattino, la tarda sera e di notte.
Invece, a furia di pubblicità, marketing e sussidi statali, riempiranno le città di auto da due tonnellate, ma elettriche, per muoversi in coda a 8 km/h. O almeno ci proveranno.
Ultima nota: riguardo l’utilizzabilità della bici elettrica in città, arriveranno inevitabilmente le obiezioni “E se piove? E se nevica? E se tira vento?”. Nel filmato sopra l’ora di punta a Utrecht in Olanda, durante una nevicata. Ovvero in una situazione in cui il traffico auto normalmente si paralizza. Le bici invece vanno ancora, più veloci delle auto.
AGGIORNAMENTO – Ho modificato il titolo aggiungendo “(soprattutto in città)” per due motivi: 1. la critica riguarda principalmente l’uso cittadino e il miraggio che l’auto tradizionale se trasformata in elettrica risolverebbe i problemi che l’auto genera in città (pericolosità, ingombro e congestione); 2. Perché se si critica l’automobile, non importa con quali elementi oggettivi, c’è chi reagisce in maniera emotiva e non sempre razionale. Per ridurre queste reazioni emozionali, nei limiti del possibile, ho voluto chiarire che non si tratta di una critica universale all’automobile né al concetto di auto elettrica, ma semplicemente una critica al fatto che molti aspettano la miracolosa venuta dell’auto elettrica “che risolve tutti i problemi” e non si accorgono che per uso urbano la bici elettrica c’è già e sarebbe possibile realizzare veicoli elettrici leggeri perfettamente funzionali per i contesti urbani.
AGGIORNAMENTO – Risulta che la produzione di batterie adeguate per le necessità automobilistiche (ovvero veicoli da due tonnellate) attualmente comporta un’enorme produzione di anidride carbonica:
“La ricercatrice fa notare infine come la correlazione lineare tra potenza delle batterie ed emissione di CO2 dovrebbe forse incentivare le autorità a promuovere ricerca e sviluppo per vetture elettriche più piccole, anche a discapito di modelli più grandi e performanti.”
AGGIORNAMENTO – Qui un caso concreto di applicazione pratica. Un lavoratore di Sassari che da dieci anni fa casa-ufficio, più visite ai clienti, con un quadriciclo elettrico. Senza attendere tecnologie mirabolanti, il suo veicolo ha normali batterie al piombo da auto trazione, del costo totale di 900 euro, che gli consentono 120 km di autonomia. Il veicolo gli è costato circa 7.000 euro, e i costi di manutenzione, gestione ed energia sono molto bassi. A dimostrazione che basta limitare il peso del veicolo per avere soluzioni urbane perfettamente accessibili ed affidabili, senza aspettare il suv elettrico miracoloso della Tesla o di altri produttori.
AGGIORNAMENTO – Due anni dopo, Luca De Meo, amministratore delegato della Seat e capo progetto utilitarie elettriche per il gruppo Volkswagen, ha dei dubbi sul modello di auto tradizionale elettrificata: De Meo: con l’elettrico non guadagni. A meno che… [Vaielettrico]
Se ti piace il ciclismo o sei sportivo ti pagano per allenarti. Se non ti piace il ciclismo, ti pagano per stare in forma.
DHL Express sta sperimentando nuovi centri di smistamento urbano con sistemi misti furgoni-biciclette. Le cargo-bike usate da DHL per questa soluzione tecnica sono quadricicli elettrici a pedalata assistita che possono portare cassoni modulari di un metro cubo di capienza e portata di 125 kg. Il sistema consente risparmi nei costi di esercizio e una significativa riduzione di costi energetici, emissioni nocive, produzione di anidride carbonica e produzione di polveri sottili. la combinazione furgone-biciclette visibile nel filmato è particolarmente indicata per le aree urbane, i centri storici e le aree pedonali cittadine.
I parcheggi gratis o a basso prezzo peggiorano il traffico in due modi:
Attirano pendolari in auto;
Rallentano il traffico urbano a causa degli automobilisti che girano a vuoto nella speranza di trovare un posto gratis.
Questo risulta da uno studio americano che conferma anche quella che è l’esperienza quotidiana di chi guida in città: quando arrivi a destinazione, devi sempre dedicare 10-20 minuti di tempo alla ricerca di un parcheggio. Qui il documento completo: Cruising for parking access.
Nelle ore di punta si stima che dal 15 al 30% delle auto in circolazione stiano cercando parcheggio, aumentando di molto la congestione. Il problema è irresolubile, principalmente perché le auto sono molto ingombranti per muoversi in città: per parcheggiare 400 auto occorre un ettaro di spazio. Se si pianifica l’urbanistica su misura per l’auto (strade larghe, tanti parcheggi) aumentano gli incidenti e si dilatano gli spazi, ma senza risolvere realmente il problema perché restano comunque i luoghi di attrazione del traffico dove c’è congestione (centri commerciali, aree industriali e artigianali, luoghi di spettacolo ecc) e il problema del parcheggio resta.
Il documento può essere scaricato anche presso il sito dell’Università di Los Angeles qui.
AGGIORNAMENTO – La situazione di Los Angeles oggi. Per diminuire il traffico c’è chi chiede, giustamente, meno parcheggi, perché dove ci sono più parcheggi c’è anche il traffico più intenso e congestionato.
Il filmato mostra una veduta aerea del traffico a Los Angeles.
“But traffic is so bad in Los Angeles that each resident loses around $6,000 a year twiddling their thumbs in traffic—at a total cost of $23 billion, the costs are estimated to exceed that of the whole of Britain.”
“Il traffico è così congestionato a Los Angeles che ogni residente perde circa 6.000 dollari l’anno girando i pollici in coda — a un costo totale di 23 miliardi, costi che superano quelli di tutta la Gran Bretagna.”
Los Angeles è la dimostrazione del fatto che è impossibile risolvere in modo efficace il problema del traffico privato con l’automobile privata. Per quanto spazio venga dedicato alle strade e ai parcheggi, il traffico si crea perché, a differenza dei gas che tendono a diffondersi in modo omogeneo cercando un equilibrio medio nelle diverse zone dello spazio, le persone che vanno in auto tendono a concentrarsi periodicamente verso alcune destinazioni specifiche e principali:
Dai quartieri residenziali alle aree industriali e ai centri direzionali e quartieri di uffici
Questo significa che devi creare quartieri a grande dispersione urbana (poche persone per kmq vivono in villette unifamiliari servite da un vasto reticolo di strade) — ovvero gli spazi si dilatano e tutto il tempo che teoricamente guadagni grazie all’auto privata lo perdi a causa di code, ricerca di parcheggio e distanze di percorrenza. Il territorio di Los Angeles è lungo 71 km e largo 47. Attraversare Los Angeles in lunghezza è come andare da Genova alla Spezia, ovvero percorrere mezza Liguria.
In cento anni di automobilismo di massa, nessuno ha risolto il problema del traffico, soprattutto non l’ha risolto costruendo più strade e più parcheggi.
La piramide inversa del traffico urbano. Il pedone deve avere la priorità, poi tutti gli altri veicoli.
Ecco la piramide inversa delle priorità con cui occorre pianificare il traffico urbano:
Prima di tutto i pedoni, poi
i ciclisti
Le cargo bike per le consegne locali
Il trasporto pubblico collettivo
Taxi e trasporto merci
Car sharing
Auto privata
Aereo
Il problema di molte città italiane è che il traffico viene pianificato pensando alle auto private come priorità: la famosa teoria di “fluidificare il traffico”, teoria che in cento anni ha conseguito l’unico risultato di aumentare la congestione urbana. Questo crea quartieri parcheggio con autostrade urbane dove è impossibile o molto difficile camminare, passeggiare, giocare, fare la spesa nei negozi locali. Ci sono città e paesini italiani dove è quasi impossibile spostarsi o transitare in alcuni quartieri se non si usa l’automobile.
C’è un motivo razionale: nonostante le promesse pubblicitarie, il trasporto su auto privata è estremamente inefficiente. Le auto private trasportano in media 1,2 persone per vettura, e ciascuna vettura pesa da 1 a 2 tonnellate, richiedendo circa 25 metri quadri per parcheggiare (12,5 di occupazione fisica, più gli indispensabili spazi di manovra); inoltre un’auto che viaggia a 50 km/h richiede 25 metri di distanza di sicurezza, il che significa che lo spazio occupato in strada è pari a 120 mq (lunghezza della macchina più distanza di sicurezza moltiplicato per la larghezza della corsia). In confronto, su una pista ciclabile, passano molte più persone occupando meno posto e con costi molto più bassi: su una singola pista ciclabile possono passare oltre 2.000 biciclette l’ora, senza bloccarsi in continue soste in coda in prima e seconda marcia come le automobili.
“New York stava affogando nel traffico. Nel 1918, quando Hylan fu eletto [sindaco], c’erano 125.101 veicoli a motore nella città; nel 1932 ce n’erano 790.173. In tutti quei quindici anni non è stata costruita una singola superstrada entro i confini della città. I guidatori nel 1932 erano obbligati ad usare le strade locali per attraversare e girare intorno a New York […] e chi descriveva il traffico congestionato aveva esaurito gli aggettivi.”
“In un giorno feriale medio, nel 1933, 238.977 auto e camion passavano sui ponti dell’East River. Tre volte il carico previsto in fase di costruzione.”
Per quel che riguarda il traffico, il resto è storia nota: come è avvenuto successivamente in altre città americane, nelle città europee e oggi in Cina, India, Africa, i pianificatori urbanistici hanno tentato di risolvere il problema del traffico costruendo più strade e più parcheggi. Senza successo, come dimostrano cento anni di code, ingorghi e giri a vuoto per cercare parcheggio (è noto che dal 15 al 30% del traffico urbano nelle diverse ore è costituito da auto che sono arrivate a destinazione e girano nei paraggi in cerca di parcheggio).
Non c’è mai stata un’età dell’oro dell’automobile: quando erano poche non c’erano strade, e quando hanno costruito le strade, le auto erano troppe. E quando ci sono tante strade e poche automobili, ci sono più incidenti mortali…
Questo non vuol dire che i veicoli a motore non possano avere una loro utilità. Ma l’abuso del veicolo privato comporta solo grandi costi economici e sociali, accompagnati da un’efficienza proporzionalmente molto scarsa, se le velocità medie non sono molto superiori alle biciclette.
L’automobile ha certamente la sua utilità, particolarmente in aree geografiche poco popolate e con abbondanti strade ben mantenute (vantaggio che però si paga con incidenti stradali più pericolosi e più mortali), ma ha chiaramente fallito la sua promessa di libertà e mobilità nei contesti urbani, promessa continuamente replicata in innumerevoli campagne pubblicitarie ancor oggi, con grande enfasi su libertà, economia e facilità di parcheggio… sì, se trovi il posto.
Da cento anni, dove circolano anche solo poche migliaia di automobili, si crea traffico, inquinamento, rumore e congestione urbana:
Non c’è mai stata un’epoca d’oro in cui nelle città c’erano le auto ma non c’era traffico e congestione: con l’automobilismo di massa il traffico urbano è sempre stato congestionato. Salvo i pionieri del secolo scorso, gli automobilisti si sono sempre lamentati del traffico.
In tutto il mondo non esiste una sola città che abbia risolto brillantemente il problema della mobilità urbana con l’auto privata (chi conosce casi di eccellenza può citarli nei commenti). Le poche città che hanno poco traffico hanno raggiunto l’obiettivo perché hanno escluso l’auto dai loro centri e ne hanno grandemente limitato accesso e velocità nelle periferie.
Ovunque, in tutte le città del mondo, in Europa, negli Usa, in Cina, in India, in Asia, nel Medio Oriente, in Africa, quando nelle città la gran parte dei cittadini si sposta con l’auto privata ci sono sempre traffico, congestione urbana, problemi insolubili di parcheggio, inquinamento, morti e feriti da incidenti stradali.
Ecco i motivi per cui l’auto privata è un mezzo di trasporto generalmente inadatto ai contesti urbani:
Altre promesse fallite in pieno.
È ingombrante. Mediamente trasporta 1,2 persone occupando 25 metri quadri per il parcheggio (12,5 di spazio per lo stazionamento, più gli spazi di manovra per entrare e uscire), mentre quando è in movimento occupa da 15 a 100 metri a seconda della velocità di spostamento (più va veloce e maggiori devono essere le distanze di sicurezza fra ogni automobile e il veicolo che la precede e segue: le distanze di sicurezza rappresentano una occupazione di spazio, per quanto dinamica).
Occupa enorme spazio pubblico per circolare. Ogni automobile ha bisogno di almeno tre posti auto per poter circolare: casa, lavoro, negozio. E questo è il minimo. Ovviamente lo stesso posto auto può essere usato a turno da più automobile, ma è impossibile ottimizzarli in modo da avere un rapporto auto-parcheggi 1:1. E infatti non esiste città al mondo in cui le automobili non abbiano problemi di parcheggio (qui il caso di Los Angeles, dove ci sono 3,3 posti auto per ciascuna vettura, ma senza aver risolto i problemi di parcheggio).
È una divoratrice di risorse. I costi di costruzione e manutenzione di strade adatte a un traffico automobilistico molto intenso sono enormi. E infatti quasi nessuna città del mondo riesce ad evitare strade senza buche o senza rifare l’asfalto periodicamente, laddove piste ciclabili e marciapiedi possono essere costruiti (se le auto non ci parcheggiano sopra) a costi molto più bassi e con manutezione molto più limitata. Inoltre la dispersione urbana generata dal modello di mobilità automobilistica (grandi periferie, quartieri dormitorio di villette, quartieri commerciali di palazzi per uffici) amplifica le distanze di percorrenza media, aumentando i tempi di spostamento e relativi costi.
È rumorosa. Per quanto i motori moderni siano diventati silenziosi (soprattutto all’interno dell’abitacolo, va notato), resta una fonte di rumore ineliminabile: il rotolamento dei pneumatici sull’asfalto o peggio sul pavè. È un rumore estremamente fastidioso, anche se ci si abitua, perché arriva lontano, aumenta e poi va via, in modo nervoso e irregolare, tenendo inconsciamente in allarme il sistema nervoso. Anche chi è abituato e pensa di non accorgersene, è disturbato dal rumore irregolare del traffico auto sotto la finestra. È stato accertato che il rumore del traffico peggiora l’incidenza di malattie cardiache.
È molto pericolosa. Ogni anno a livello mondiale ci sono 1,2 milioni di morti per incidenti d’auto. A livello nazionale nessuno stato moderno tollererebbe un simile livello di morti e feriti se fosse generato dalla criminalità. Per fare un esempio in Italia ci sono circa 3.400 morti e circa 250.000 feriti ogni anno. I morti per violenza e crimine nel 2015 sono stati 468, ovvero meno di un settimo dei morti per incidente stradale. L’automobile è talmente pericolosa per i pedoni ma anche per i passeggeri che richiede un’enorme numero di dispositivi di sicurezza per circolare (cinture, airbag, abs, metodi costruttivi speciali per volante, cruscotto, muso eccetera). Tutte le auto costruite prima del 1980, infatti, erano vere e proprie bare a quattro ruote, per gli standard moderni.
E soprattutto, in città è L-E-N-T-A. In città la velocità media delle auto va da 8 km/h nelle ore di punta a 16 km/h negli altri orari (dati di Lega Ambiente citati anche da Confcommercio). Le auto dotate di scatola nera assicurativa secondo le rilevazioni vanno a velocità medie inferiori ai 20 km/h. In città si può andare più veloci solo di notte e a ferragosto quando la città è deserta. Ma questa velocità si paga con un più alto rischio di incidenti. A cosa serve tutta questa costosa tecnologia se alla fin dei conti con il tuo suv da 2,5 tonnellate vai poco più veloce di una bicicletta?
Per trasportare le persone è molto meno efficiente dei trasporti pubblici urbani. Per comprenderlo basta fare questo esperimento: se togli le auto dalle strade i trasporti pubblici di superficie e i taxi migliorano miracolosamente le prestazioni. Se togli il trasporto pubblico (come succede quando c’è una giornata di sciopero) la città si paralizza in un ingorgo colossale. È evidente che, nel trasporto persone, anche aziende pubbliche disastrate come quelle di alcune città italiane sono più efficienti del mezzo privato.
L’unico motivo per cui l’automobile viene ancor oggi così sovvenzionata dai governi è l’enorme giro d’affari che alimenta: il lavoratore che va al lavoro in macchina e la mamma che porta i figli a scuola con l’utilitaria (alla velocità di una bicicletta: in media trascorrono un’ora al giorno in auto per fare meno di dieci km) pagano la macchina, la benzina, i costi di manutenzione, le tasse per fare le strade, le tasse per sovvenzionare le industrie automobilistiche e quindi mantiene un enorme sistema autoreferenziale industriale-politico che provoca enormi costi sociali.
Ogni individuo intervistato che ha dichiarato di non aver rispettato le regole del Codice della Strada ha realizzato una media di quasi due infrazioni. E nel 47% dei casi non è stato mai multato per averlo fatto.
Ecco le principali infrazioni autodenunciate nel corso della ricerca:
Mancato rispetto dei limiti di velocità: 29% degli italiani
Uso del cellulare durante la guida: 20%
Mancato rispetto della distanza di sicurezza: 14%
Parcheggio in sosta vietata:13%
Cinture di sicurezza o casco non utilizzati: 10%
Sorpasso vietato: 9%
Mangiare durante la guida: 8%
Mancata precedenza al pedone: 8%
Invio e ricezione di messaggi sul telefonino: 8%
Inversione a U dove non consentito: 7%
Attraversare la strada con con il rosso semaforico: 6%
Mancata precedenza ad altri automobilisti e motociclisti: 3%
Ingombro della carreggiata: 3%
Controllo delle notifiche dei social network durante la guida: 3%
Trucco e make up durante la guida: 1%
Guida in stato di ebbrezza o stupefacenti: 1%
È evidente che alcune delle infrazioni sono sottostimate, perché semplicemente dimenticate dai loro autori, o considerate “non importanti”. Per esempio, secondo una ricerca dell’Asaps, Associazione Amici della Polizia Stradale, ben due automobilisti su tre non usano le frecce per indicare i cambiamenti di direzione e di corsia… Inoltre secondo diverse fonti l’uso del cellulare è causa diretta o concausa indiretta di moltissimi incidenti.
Il furto di una bicicletta può capitare a tutti, per mille motivi: bici legata male, lasciata o dimenticata tutta la notte in zone a rischio (classico il caso del pendolare che dimentica la bici presso la stazione tutta la notte perché quella sera torna a casa col passaggio di un collega) oppure “entro un attimo in negozio, tanto torno subito” e poi le cose vanno più per le lunghe del previsto.
Il miglior preventivo è legare bene la bicicletta (qui consigli e link utili), ma in caso di furto è sempre consigliabile presentare denuncia ai Carabinieri, alla Polizia di Stato o alla Polizia Locale. La denuncia serve per reclamare la bicicletta nel caso si veda in giro, si trovi in qualche mercatino dell’usato di provenienza dubbia, o venga ritrovata dalla polizia (succede: a volte individuano i magazzini temporanei di ladri professionisti, con decine di biciclette in attesa di essere smaltite).
Fare denuncia è utile anche per far figurare il furto nelle statistiche del Ministero dell’Interno.
La parte complicata spesso è documentare la proprietà della bicicletta. Ecco come si può fare, con uno o più di questi metodi:
Marca, modello e descrizione (tipo di telaio, colore, difetti, graffi, contrassegni, presenza di ruggine, guasti, ecc)
Numero di telaio impresso dal fabbricante
Tipo e marca di cambio, se presente
Presenza di accessori particolari (potrebbero essere rimossi ma potrebbero rimanere i segni della rimozione)
Una foto della bicicletta nel proprio giardino, balcone, oppure insieme a un familiare o sé stessi.
Foto di particolari della bicicletta
Presenza di eventuali identificativi volontari indelebili (esistono servizi che forniscono, per pochi euro, marcatori inamovibili per identificare la bicicletta, per esempio il Registro Italiano Bici – Easytag)
Scontrino o fattura d’acquisto presso l’eventuale negoziante dove la bici è stata acquistata (è utile conservarlo anche per la garanzia: in genere due anni per i privati, un anno per le ditte, tre o sei mesi per l’usato)
La denuncia è indispensabile per reclamare la bicicletta in caso di ritrovamento, per eventuali coperture assicurative e anche per documentare la perdita nel caso la bicicletta sia di proprietà di una ditta che la usa per consegne, spostamenti di lavoro eccetera.
Vale sempre il consiglio di legare bene la bicicletta: è vero che tutti i lucchetti, anche i più sicuri, possono essere rotti (se il ladro ha gli attrezzi adatti e abbastanza tempo) ma nella peggiore delle ipotesi la bici legata bene verrà lasciata lì perché il ladro preferirà scegliere una bici legata male. Inoltre i ladri sono molto opportunisti e non tutti sono geni dello scasso con ampia attrezzatura sempre con sé.
Se hai consigli utili o esperienze particolari, scrivili nei commenti per aggiornare o integrare l’articolo. Grazie.
Molti pianificatori urbani in Italia vedono ancora le strade come un ambiente dove bisogna dare priorità alle auto. Ma se si pensa in termini di transito di persone, la prospettiva cambia e l’auto diventa un mezzo troppo inefficiente.
Per risolvere il problema del traffico nelle città italiane occorre cambiare le priorità della progettazione stradale:
Passare dall’auto al centro di tutto al concetto di transito di persone.
L’automobile privata nelle aree urbane è un veicolo estremamente inefficiente:
Pesa da 1 a 2,5 tonnellate, con la conseguente usura di strade e marciapiedi,
In una corsia per auto larga 4 metri il massimo di veicoli che possono transitare in un’ora è circa 2.000, ipotizzando che tengano le distanze e viaggino a 20 km/h (se vanno più veloci ne passano di meno…), ovvero circa 2.500 persone data l’occupazione media di 1,2-1,3 persone per veicolo, una produttività facilmente superata con costi molto più bassi e minore consumo di territorio in molte piste ciclabili di Copenhagen e Amsterdam (soprattutto aggiungendo che le duemila auto hanno poi bisogno di parcheggiare). In una linea ferroviaria o metropolitana ad alta intensità possono essere trasportate fino a 50.000 passeggeri l’ora su un singolo binario. (dati su auto e treni tratti da Carfree Cities, p.39, 2002)
La dispersione urbana dell’urbanistica basata sull’automobile privata costa agli Stati Uniti più di mille miliardi di dollari, secondo uno studio di New Climate Economy. Questa stima comprende maggiori costi di infrastrutture stradali, servizi pubblici e trasporti. Gli americani che vivono nelle città disperse (ad esempio le aree urbane di Los Angeles, l’area metropolitana di Washington, Atlanta) affrontano 625 miliardi di dollari di costi aggiuntivi. Aziende e privati inoltre affrontano ulteriori 400 miliardi di dollari di costi. Città più compatte e basate su trasporti alternativi all’auto privata (mezzi pubblici, bicicletta, pedonalizzazioni) consentirebbero di migliorare la produttività, l’efficienza dei trasporti, migliorare la salute pubblica e proteggere l’ambiente.
Lo studio, Analysis of Public Policies that Unintentionally Encourage and Subsidize Sprawl—scritto per New Climate Economy dal Victoria Transport Policy Institute, in collaborazione con LSE Cities—evidenzia le distorsioni della pianificazione urbana e del mercato che incoraggiano la dispersione urbana, identificando le politiche che possono correggere queste distorsioni.
La dispersione urbana aumenta le distanze fra case, imprese, servizi e posti di lavoro, aumentando i costi delle infrastrutture e servizi pubblici dal 10 al 40%. Le città più dispersive spendono in media 750 dollari a persona per le infrastrutture, mentre le città più compatte spendono circa 500 dollari per cittadino.
Matematica urbana. Invece di pensare in termini di passaggio di veicoli, bisogna pensare in termini di trasporto di persone. Facendo questo calcolo salta all’occhio l’enorme inefficienza del trasporto urbano basato sull’automobile privata.
Studiando decine di migliaia di pendolari sopra i 40 anni (157.000 adulti inglesi di mezza età), i ricercatori hanno trovato che le persone che vanno al lavoro in automobile pesano di più e hanno una percentuale di grasso corporeo più elevata di chi va al lavoro camminando, in bicicletta o con i mezzi pubblici.
I pendolari che vanno al lavoro in bicicletta sono i più snelli di tutti ma anche usare treno o mezzi pubblici è collegato a minore peso e grasso, come riferiscono gli autori in un documento pubblicato su “The Lancet Diabetes and Endocrinology”.
L’indice di mortalità dei pedoni è quattro volte superiore a quello degli automobilisti (2,75 contro 0,67, Istat 2014). Per motociclisti e ciclisti è più che doppio (rispettivamente 1,69 e 1,41). La velocità eccessiva [per le condizioni della strada] o oltre i limiti è una delle cause più frequenti di incidente, con quasi 25mila incidenti (circa 11%)* all’anno. La velocità non adeguata [ovvero eccessiva per le condizioni della strada e del traffico] rende più probabile e peggiora le conseguenze di un incidente.
(*) Va osservato che la velocità eccessiva, oltre ad essere causa diretta dell’11% degli incidenti, è spesso concausa e aggravante di molti altri incidenti perché aumenta i tempi di reazione, impedisce l’arresto tempestivo del veicolo e peggiora gli effetti dell’incidente in caso di distrazione.
Quando si parla di viabilità e traffico, i difensori d’ufficio dell’auto privata come scelta razionale elencano subito questa serie di imprescindibili vantaggi che li obbliga a preferire l’auto rispetto ai mezzi alternativi (andare a piedi, in bicicletta, usare i mezzi pubblici):
La realtà è in gran parte diversa: nelle grandi città italiane l’auto è posseduta e usata mediamente il doppio rispetto ad altre capitali europee perché in Italia si è ingranato un sistema che guadagna un sacco di soldi sul caos dei trasporti, sinteticamente analizzato qui per quel che riguarda il caso (e il caos) di Roma: “Quanto vale il caos urbano”.
Questi sono i dati da cui parte il ragionamento:
Roma: 930 veicoli ogni 1000 abitanti
Londra: 314 ogni 1000 abitanti
Parigi (area metropolitana): 530 ogni mille abitanti
(Questi sono dati stimati dal comune di Roma. Altri dati indicano 71 veicoli ogni cento abitanti per Roma, 35 per Londra, 45 per Parigi: in tutti i casi la stima è che Roma sia afflitta da una densità di veicoli a motore che va dal doppio a quasi il triplo di Londra. Ulteriore dato da tenere presente: l’Italia ha il record europeo di automobili e anche il record europeo di motocicli, calcolando il numero di veicoli per famiglia.)
Se moltiplichiamo i 1.500€ [stima dell’ammortamento annuo medio per auto] per gli 1,3 milioni di veicoli “in eccesso” rispetto a Parigi otteniamo una cifra molto prossima a 2 miliardi di euro. Il confronto con Londra porta tale cifra a 2 miliardi e 700 milioni. Tanto vale, ogni anno, per l’industria dell’auto, l’inefficienza del trasporto pubblico romano. Altrettanto, o poco meno, vale per il mercato delle assicurazioni. Il calcolo per il mercato dei combustibili è più complesso. [qui tutto il ragionamento e i calcoli, dal blog Mammifero Bipede]
Ovvero: solo a Roma l’eccesso di veicoli a motore rispetto a Londra comporta un costo annuo di circa 2,7 miliardi di euro. Un costo che rappresenta fatturato per industria dell’auto senza contare il fatturato dell’industria delle costruzioni stradali, dell’industria petrolifera e di assicuratori, meccanici, carrozzieri, multe eccetera. Sommando anche questi costi, probabilmente la cifra raddoppierebbe. E mancano ancora i costi umani degli incidenti stradali che in Italia in questi anni comportano circa 3.800 morti e 250.000 feriti gravi, contro cifre irrisorie di morti e feriti sui mezzi pubblici.
Ora, siccome a Londra e a Parigi (ma anche in Olanda, Danimarca, Scandinavia, Spagna e Germania) i cittadini lavorano, hanno fretta, fanno la spesa, hanno parenti malati, hanno caldo d’estate e freddo d’inverno, e fanno tutto spesso con maggiore efficienza rispetto a Roma e all’Italia in generale, è evidente che gli italiani usano molto l’auto perché qualcuno li sta fregando.
Le grandi città dei paesi in via di sviluppo vedono una continua crescita del traffico automobilistico, scrive l’Economist qui. A San Paolo metà degli adulti trascorrono almeno due ore al giorno nel traffico. Gli ingorghi di Lagos hanno fatto sviluppare un commercio di ambulanti che vendono fra le auto ferme.
Come è successo nel secolo passato in Europa e negli Stati Uniti, in tutte le città in via di sviluppo cresce il traffico automobilistico. I motivi di questa crescita del traffico sono due:
La crescita economica moltiplica le vendite di auto: sempre più persone le usano per muoversi in città, alimentando gli ingorghi;
I governi non fanno nulla per ridurre il traffico, oppure adottano addirittura politiche controproducenti:
Ad esempio, molte megalopoli hanno regolamenti urbanistici che prevedono spazi obbligatori per i parcheggi, specificando quanti posti auto devono essere costruiti per ogni negozio, ufficio, abitazione e anche per i luoghi di culto. Queste normative hanno l’effetto di incoraggiare l’uso dell’auto, creando più traffico e imponendo una tassa a chi non guida perché le aziende distribuiscono i costi di costruzione e mantenimento dei parcheggi obbligatori su tutti i loro clienti.
Costruire parcheggi intuitivamente sembra la soluzione principale per tenere a bada le auto, ma in realtà i posti auto non sono facilmente ottimizzabili (sempre pochi in centro, spesso troppi in periferia), e inoltre inevitabilmente creano traffico perché si stima che in città circa il 30% del tempo in auto viene trascorso cercando parcheggio. L’auto è un mezzo inefficiente per muoversi in una città affollata semplicemente perché è troppo ingombrante.
Per migliorare il traffico occorre agire su due fronti: incentivare le alternative all’auto privata e penalizzare la stessa, sia costruendo meno parcheggi, sia tassando l’uso delle strade più affollate.
Spesso gli automobilisti si lamentano di pedoni, podisti e ciclisti che ‘si buttano’ o ‘si catapultano’ sulle strisce bianche come kamikaze oppure che ‘spuntano dal nulla’.
In realtà è quasi sempre un effetto ottico dovuto alla prospettiva e percezione visiva quando l’automobilista sta andando troppo veloce per le condizioni della strada.
Pedoni e ciclisti in genere hanno una buona visione della strada e sentono i rumori del traffico molto meglio degli automobilisti, per cui – sempre in genere – passano le strisce quando pensano di avere probabilità di attraversare indenni, ovvero quando vedono che le auto sono sufficientemente lontane per apparire sicura. Talvolta però non calcolano bene la velocità dell’auto, soprattutto se questa è lontana e corre veloce.
Come dimostra l’illustrazione, se l’automobilista vede all’ultimo momento il pedone le spiegazioni più probabili in realtà sono due:
L’automobilista è distratto (telefonino, conversazione, autoradio, sigaretta) e vede strisce e pedoni all’ultimo momento;
L’automobilista va troppo veloce e, come si vede dal disegno, il suo angolo visuale è molto ristretto rispetto a una velocità più moderata. In una via cittadina basta andare fra 40 a 60 kmh per avere una visuale estremamente ridotta.
È possibile anche una terza ipotesi: il pedone o il ciclista hanno calcolato male la velocità dell’auto in arrivo. Ma in quel caso è sempre l’auto troppo veloce: se era lontana due secondi fa e adesso è talmente vicina da rischiare l’incidente, la persona in auto stava guidando troppo veloce e forse era anche distratto nella guida.
Questa terza ipotesi è tanto più vera, in molti casi, se si considera che oltre la metà dei pedoni investiti hanno più di 65 anni: siccome è difficile ipotizzare che gli ultrasessantacinquenni siano particolarmente imprudenti e indisciplinati, è più probabile che calcolino male mentalmente la velocità del veicolo in arrivo (lontano quando si apprestano a passare) e, penalizzati ulteriormente da riflessi rallentati rispetto ai giovani, non riescano a tornare indietro o a fare il balzo che li salva [aggiornamento]. Ma anche in questo caso è la velocità dell’auto a rendere inevitabile travolgere il pedone.
I pedoni e i ciclisti a passo d’uomo vanno a 2-4 km/h. L’auto sopraggiunge a 30-50 km/h o velocità addirittura superiori.
I pedoni “si buttano” a 3 km/h quando l’auto è ancora a 30-40 metri dalle strisce? È evidente che è l’auto che va troppo veloce: se l’automobilista percepisce il pedone all’ultimo momento è perché il suo cono visivo è molto ridotto.
L’illusione ottica di ‘pedoni che compaiono improvvisamente’ nel campo visivo del guidatore dipende in gran parte dal fatto che gli automobilisti si avvicinano alle strisce a velocità eccessiva. Qui sotto come la Corte di Cassazione prescrive di avvicinarsi alle strisce bianche, secondo il Codice della strada:
Il Gatto e la Volpe si mettono d’accordo per nuovi standard sulle emissioni
Il parlamento Europeo ha dato il via libera all’aggiornamento dei limiti delle emissioni per i veicoli proposto dalla Commissione europea a fine ottobre scorso. Il tentativo di veto, avanzato dalla Commissione Ambiente, non ha infatti ottenuto la maggioranza qualificata per essere approvata. A seconda di chi guarda quanto ciò accaduto all’europarlamento si può trattare di un passo in avanti o uno indietro. Infatti, da una parte arriveranno, a settembre del 2017, i tanto invocati nuovi test su strada per misurare l’inquinamento atmosferico in condizioni reali ma ci saranno nuove soglie molto meno severe per i diesel Euro 6. Così verranno mandati in soffitta i tanto contestati test delle emissioni in laboratorio perché, sottolinea Bruxelles, «sappiamo che le emissioni» di ossidi di azoto (NOx) «sono del 400% più alte e a volte anche di più» dei limiti consentiti.
Le industrie automobilistiche sui consumi barano da anni;
Negli ultimi venti anni i parametri Euro 1, 2, 3 eccetera sono serviti principalmente come spauracchio e incentivo per incoraggiare l’acquisto di nuove auto rottamando quelle vecchie: l’Auto Ecologica era principalmente un trucco per vendere più auto. Non a caso, ogni volta che si parla di inquinamento e smog, una delle soluzioni proposte è “rinnovare il parco auto italiano” perché ci sarebbero molte auto “vetuste” (in realtà l’età media del parco auto italiano è allineata agli altri paesi europei e secondo Automoto.it sarebbe addirittura il secondo per aggiornamento).
Raddoppiando i parametri di inquinamento, si rende evidente che legislatori e controllori erano conniventi e perfettamente al corrente del fatto che i test sui consumi erano molto addomesticati e non realistici.
1. Più strade uguale meno traffico. Falso: le nuove strade dopo un po’ attirano nuove auto e creano nuovi punti di congestione
Molti pensano che se si costruendo nuove strade il traffico diminuisce. In realtà, nella maggior parte dei casi questo non succede, per due fenomeni:
La strada nuova attira nuovi utenti che piano piano la congestionano; Il fenomeno si chiama “della domanda indotta” o del “traffico indotto”. Succede lo stesso anche con i parchi o con altre infrastrutture urbane: se crei un parco e metti delle panchine, qualcuno ci passeggia e ci si siede, a meno che non sia al di là della circonvallazione. Quindi, meglio creare parchi e piste ciclabili che strade.
In più, ogni volta che realizzi nuove strade crei nuovi incroci, intersezioni e bivii, che sono i punti deboli dove si formano code e congestione. Qui una spiegazione di come funziona il fenomeno: “Più strade costruisci, più aumenta il traffico”.
2. Più trasporto pubblico significa meno traffico. Falso: come nel caso delle strade, se qualcuno rinuncia all’auto per usare il treno o l’autobus e lascia libera strada e parcheggi, qualcun altro preferirà tornare all’auto, mantenendo alto il livello di congestione.
Il trasporto pubblico, per essere competitivo, deve offrire vantaggi che l’auto non offre: corsie preferenziali, accesso in aree ristrette alle auto, maggiore velocità nel traffico. Nel lungo periodo, se il trasporto pubblico si limita a “liberare la strada”, qualcuno vedendo lo spazio libero sarà incentivato a usare l’auto, senza vantaggi nelle percorrenze nelle ore di punta.
3. Le piste ciclabili peggiorano il traffico. Falso: se la pista è ben progettata, riduce il traffico e i tempi di percorrenza.
4. Le strade più larghe sono più sicure. Falsissimo: più una strada è larga più auto, furgoni e motociclette sono incoraggiate a correre, aumentando sia la probabilità di incidente sia la pericolosità degli stessi.
Lo dimostrano questa ricerca, e i dati sugli incidenti mortali negli Stati Uniti: gli stati con minore densità di abitanti hanno più morti stradali in percentuale, perché strade più ampie e meno congestionate incoraggiano a tenere velocità medie più elevate.
5. In coda la fila di fianco si muove più velocemente. Generalmente falso: è una percezione dovuta al fatto che quando le auto di fianco si muovono ti senti “superato”, mentre quando ti muovi tu ti sembra di andare comunque troppo lentamente.
E cercare di cambiare fila per migliorare, in genere peggiora il traffico per tutti.
6. Se gli altri guidassero meglio, ci sarebbe meno traffico. Falso: nel traffico intenso tutti commettono errori di valutazione delle distanze, di frenata e di accelerazione, peggiorando il traffico per tutti.
Il traffico intenso può essere fluidificato efficacemente solo con sistemi automatici di controllo della velocità e delle distanze. I guidatori umani, semplicemente, in media non sono capaci e peggiorano le cose frenando al momento sbagliato o tentando di cambiare corsia nella speranza di andare più veloci (e facendo rallentare tutti quelli dietro).
7. Per ridurre il traffico occorre levare dalle strade molte auto. Falso: verifiche sperimentali hanno scoperto che in caso di congestione basta togliere dai punti critici l’1% delle auto per migliorare sensibilmente i tempi di percorrenza perché le congestioni da circolazione veicolare non sono lineari.
8. Chiudere una strada comporta un aumento del traffico intorno. Falso: esattamente come costruire una strada attira nuove auto, chiuderne una semplicemente ne fa sparire un certo numero.
Gli automobilisti si adattano abbastanza rapidamente alle novità del traffico. È più traumatica la chiusura di una strada a causa di un incidente, rispetto alla chiusura della stessa strada per tre mesi di lavori. In questo secondo caso gli automobilisti si adattano in vari modi: qualcuno cambia orario per evitare il traffico, qualcun altro prende i mezzi pubblici, eccetera.
9. Il petrolio a prezzo basso conviene per tutti. Parzialmente falso: con la benzina a basso prezzo tutti gli automobilisti risparmiano, ma l’incentivo ad usare di più l’auto comporta più ore perse nel traffico, maggiore inquinamento e maggiore usura delle strade.
10. La manutenzione stradale la pagano gli automobilisti col bollo e le tasse sulla benzina. Falso: le autostrade sono state finanziate in parte dalla fiscalità generale, mentre il pedaggio copre manutenzione e profitti dei concessionari. Le strade comunali sono pagate con le tasse locali, perché bollo e tasse sulla benzina vanno allo stato.
Perché sprecano spazio pubblico prezioso nelle aree commercialmente più pregiate:
“La ricerca si basa sull’analisi e la stima del valore delle aree urbane di alcune città degli Stati Uniti, da questi dati è stato dedotto che il valore delle aree nel centro della città ha un potenziale notevolmente elevato e che le aree destinate a parcheggio sono dannose per l’economia della città perché consumano una risorsa limitata e non infinita: lo spazio urbano.
Infatti secondo questo punto di vista, il parcheggio, per esempio quello a servizio dei centri commerciali e dei negozi, è un peso morto, non produce reddito.”
L’osservazione può sembrare eretica, particolarmente in Italia dove spesso i commercianti sono ossessionati dalla disponibilità di parcheggi nella loro zona (non rendendosi conto che, anche in Italia, le aree commerciali più pregiate e le zone immobiliari più pregiate sono quasi sempre centri storici con zone a traffico limitato e grandi aree pedonali). Ma le proiezioni sui valori immobiliari dimostrano che:
meno parcheggi ci sono, più i valori immobiliari e commerciali sono alti. Viceversa, dove si costruiscono tanti parcheggi, i valori immobiliari e commerciali calano.
Nelle aree rosse ci sono più parcheggi; nelle aree blu ci sono più edifici e negozi, con valori immobiliari più elevati. È uno schema che si verifica in tutte le città: il centro ha meno parcheggi e più valore. Nelle aree dove si costruiscono molti parcheggi c’è meno valore commerciale e immobiliare (e spesso anche più degrado urbano). Immagine di Urban Tree.
La spiegazione sta anche in questo fatto, facilmente verificabile, ma troppo spesso sottovalutato dai pianificatori urbani del passato:
le auto private stanno ferme per il 95% del tempo. Ogni posto auto rappresenta 25 mq di preziosissimo spazio urbano (12,5 mq di occupazione fisica dell’auto, più gli spazi di manovra) male ottimizzato.
Qui un filmato in cui si visualizza bene l’effetto controproducente, sul tessuto urbano della costruzione di tanti parcheggi. Più parcheggi ci sono, più il tessuto urbano si dequalifica.
Qui l’analisi della situazione dei parcheggi a Los Angeles, probabilmente la città più a misura d’automobile di tutto il mondo: 18,6 milioni di posti auto per circa 6 milioni di veicoli, pari a 3 posti auto per ciascun veicolo, creando un’area urbana enormemente dispersiva.
Ridurre a 30 kmh la velocità massima in città è una buona idea per molti motivi, compreso il fatto che riduce consumi e inquinamento, anche se di poco.
Polinomia, società di ingegneria, ha compiuto un’analisi su consumi e inquinamento a 30 kmh. In sintesi vengono rilevati questi due fatti:
Effettivamente, come dicono molti, a velocità costante, su una strada senza interruzioni né discontinuità, i consumi sono inferiori andando a 50 kmh rispetto a 30 kmh.
Ma in città raramente si può andare a velocità costante senza interruzioni. Nel percorso cittadino tipico tenere la velocità sempre sotto i 30 kmh comporta risparmi di carburante e riduzione degli inquinanti. I vantaggi sono maggiori tanto più è pesante il veicolo.
Piazza del Duomo a Milano negli anni 60. L’asfalto rosso dell’epoca evidenzia bene l’enorme quantità di spazio dedicato alle auto.
Durante i picchi di inquinamento invernale parte il dibattito contrapposto:
È colpa del traffico;
No, è colpa dei riscaldamenti domestici e dell’industria.
La risposta è semplice: è colpa di tutti coloro che accendono qualcosa: caldaie, bruciatori, motori a scoppio: tutti producono, chi più chi meno, qualche inquinante. I migliori, i più perfetti, producono vapor acqueo e anidride carbonica che, come si sa, contribuisce all’effetto serra e al riscaldamento globale. Figuriamoci i danni che fanno i motori diesel, che producono comunque PM10 e PM2,5 (e sono molto meno puliti di come ci dicevano, come dimostra lo scandalo Volkswagen).
L’auto inquina, ma meno di venti anni fa. Molti sostengono, dati alla mano, che l’inquinamento urbano è diminuito negli ultimi trent’anni. Questo è vero: le auto degli anni 70 e 80 non avevano marmitte catalitiche, consumavano molto di più, inoltre sempre in quegli anni non c’erano grandi controlli sulle emissioni dei riscaldamenti domestici, molti scaldavano a gasolio e carbone, nessuno usava il metano, eccetera. Le città erano molto più inquinate di oggi. Qualcuno sostiene che un’auto del 1970 inquinava come venti auto moderne. In parte è vero (se hanno il motore in ordine, se l’automobilista non pesta troppo sull’acceleratore, non è un fanatico della guida sportiva e “prestazioni brillanti anche in città” ecc), ma uno dei problemi è anche il fatto che le auto in Italia dal 1970 ad oggi sono quasi triplicate: l’Italia ha il record mondiale di auto per famiglia, a cui vanno aggiunti numeri record di autocarri (le merci in Italia viaggiano principalmente su gomma, al contrario di quel che avviene in Francia e Germania) e motocicli (altro record mondiale).
Ma comunque l’auto inquina. Lo dicono anche i produttori di auto
Ma comunque il motore a scoppio inquina, creando polveri sottili in tre modi:
Combustione interna del motore
Rotolamento e consumo dei pneumatici sulla strada (cosa che consuma anche le strade, come dimostrano le buche che si creano con grande frequenza sulle strade mentre “nascono” con molto minore frequenza sui marciapiedi e sulle piste ciclabili, salvo quando le auto ci parcheggiano sopra)
Usura dei freni
Non ci sono dubbi in questo. Lo documenta anche questo comunicato stampa dell’ANFIA Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica e dell’Unrae Unione Nazionale Rappresentanti Veicoli Esteri, quindi coloro che le auto le fabbricano e le vendono: CS_STUDIO_INQUINAMENTO. Il comunicato, del 2006, è finalizzato a dimostrare che l’inquinamento automobilistico è minimo, usando nel titolo un argomento surrettizio: “minime le responsabilità delle auto Euro3 ed Euro4” (cioè modelli che oggi, dieci anni dopo, vengono considerati piuttosto inquinanti e che comunque all’epoca erano la minoranza del parco circolante, composto da auto ancora più inquinanti).
In tutti i casi, a un certo punto il comunicato stampa ammette:
Il trasporto stradale nel suo insieme incide per il 29% [dato Anfia – Unrae – riguardo l’attendibilità di questi dati, vedi l’aggiornamento in fondo al post]
Se il trasporto stradale “nel suo insieme” incide per il 29%, nei contesti urbani dove è meno rilevante l’inquinamento da fonti industriali, incide di più, quindi non è una fonte di inquinamento esattamente trascurabile, anche tenendo conti di questi altri dati:
A sua volta quel 29% riferito al trasporto stradale viene suddiviso come segue: veicoli industriali e bus 9%, autovetture 8%, veicoli commerciali leggeri 5%, non dovuti a combustione 4%, ciclomotori 2%, motocicli 1% [dati Anfia – Unrae – per l’attendibilità del dato, vedi aggiornamento in fondo]
Se auto, furgoni, ciclomotori e motocicli pesano per il 16% complessivo (8+5+2+1), in ambito urbano il contributo all’inquinamento sarà sicuramente maggiore perché in ambito urbano sono meno rilevanti le altre fonti eccetto il riscaldamento domestico. Lo stesso comunicato ammette che:
è noto che le auto al minimo o con fenomeni continui di stop&go alzano notevolmente il loro contributo all’inquinamento
Il traffico pesa. E infatti…
Ma in città il problema vero delle auto non è l’inquinamento
In tutti i casi, in città, il problema principale delle auto non è l’inquinamento quanto questi tre:
ingombro
inefficienza
pericolo
Le auto private sono estremamente ingombranti e inefficienti. Ogni auto occupa 10 metri quadrati da ferma, a cui vanno aggiunti altri 10 mq per gli spazi di manovra. Una persona che abita a Milano e va tutti i giorni al lavoro in auto usa da 20 a 60 metri di spazio solo per parcheggiare, senza contare lo spazio stradale necessario per circolare (20 metri se parcheggia in strada, lato marciapiede, fino a 60 metri con spazi di manovra a seconda della tipologia di posto auto usato*). Quanto valgono 40 metri di terreno a Milano? A New York questo ragionamento l’hanno fatto decenni fa e infatti nelle aree centrali il parcheggio sulla strada è vietato quasi dappertutto, e il 56% delle famiglie newyorkesi non hanno l’auto privata (a Milano la situazione è peggio che inversa: 60 auto ogni 100 abitanti).
Ogni auto privata sta parcheggiata in media per oltre il 90% del tempo, ovvero sta ferma per 20 ore al giorno occupando spazio urbano preziosissimo e molto costoso (e parliamo dell’auto di chi va al lavoro tutti i giorni. figuriamoci l’auto di chi la usa solo nel weekend).
*È vero che il posto auto in strada, quando un veicolo se ne va, può essere usato da un altro. Ma non sempre questo accade. In tutte le città ci sono quartieri prevalentemente residenziali dove c’è un sacco di posto per parcheggiare di giorno, e quartieri prevalentemente di uffici dove c’è un sacco di posto di notte. I posti auto sono difficili da ottimizzare.
[AGGIORNAMENTO – Riguardo l’attendibilità dei dati forniti dall’Anfia-Unrae, i costruttori e importatori di automobile, c’è questa interessante tabella dell’Arpa Lombardia relativa alle diverse fonti di emissione nell’Area Metropolitana di Milano nel 2014. In fatto di PM10 e PM2,5 il contributo del trasporto su strada è rispettivamente del 42% e del 46%. Molto di più del 29% del comunicato stampa Anfia-Unrae del 2006, dato che probabilmente era un dato nazionale utilizzato disinvoltamente per argomentare contro l’utilità dei blocchi del traffico in ambito locale.
Quando si parla di traffico urbano e di come evitarlo, per esempio andando in bici, a piedi o con i mezzi pubblici, molti fanno due obiezioni standard:
Vado in auto perché sono costretto
Vado in auto perché ho fretta.
Diciamo chiaramente: qualche volta è vero, ma nella maggior parte dei casi sono balle autogiustificative e pigrizia mentale.
Vado in auto perché sono costretto Se sei costretto, com’è che l’auto sarebbe sinonimo di libertà? Qui comunque un’ampia casistica di risposte all’obiezione “non posso farne a meno”.
Vado in auto perché ho fretta. Anche questa è una pietosa bugia autogiustificativa. È dimostrato da numerosissime fonti (e anche dall’esperienza comune) che la velocità media delle auto in città è soprendentemente bassa: 15-20 kmh quando va bene, 8-10 kmh o meno nelle ore di punta. E inoltre è addirittura inferiore ad andare a piedi in caso di incidente nei paraggi, pioggia forte o neve nell’ora di punta o peggio ancora sciopero dei mezzi pubblici.
Qui un’indagine della Regione Lombardia sugli spostamenti in ambito regionale. Come si vede, nella maggior parte dei casi, anche nell’operosa Lombardia, l’auto NON viene usata per lavoro o per pressanti motivi indifferibili. Inoltre la maggior parte degli spostamenti sono sotto i 10 km.
Qui i dati su velocità e ore di guida due milioni di auto italiane dotate di scatola nera. In media, un’ora e 27 minuti al giorno di guida, a velocità medie inferiori ai 20 kmh in città, e 38 kmh sulle strade extraurbane. Devi spostare un veicolo che pesa una tonnellata e costa da 10.000 euro in su, più le spese di mantenimento, per velocità poco superiori a quelle di una bici elettrica?
Qui il Bike Plan di Google: oltre il 20% dei collaboratori di Google che abitano entro 9 miglia dalla sede (14 km) si recano al lavoro in bicicletta. Questo nella Silicon Valley, la regione tecnologicamente più avanzata del mondo.
Comprando benzina, gasolio e altri derivati del petrolio si finanziano alcuni dei peggiori dittatori del mondo. Ecco come.
“Nel 2012 la famiglia americana media ha speso 2.912 dollari in benzina. È una bella somma e possiamo tracciare dov’è andata a finire. Le aziende petrolifere incassano 465 dollari per trasporto, raffinazione e vendita; il governo federale incassa 165 dollari di tasse. Molto del resto va per acquistare il petrolio greggio. Rintracciando questi soldi fino ai paesi produttori, scopriamo che 275 dollari vanno a regimi autoritari. La famiglia americana media paga 275 dollari ai peggiori dittatori, semplicemente facendo il pieno.”
La scomoda verità è che buona parte del petrolio e diverse altre materie prime che consumiamo quotidianamente vengono da paesi sottoposti a regimi autoritari brutali e repressivi, dove i diritti dei cittadini non vengono rispettati, non c’è libertà di stampa e di opinione oppure sono fortemente limitate, dove le donne e le minoranze vengono discriminate.
Inoltre il paradosso è che in Africa e nel Medio Oriente i paesi privi di grandi depositi di petrolio o di grandi ricchezze minerarie nell’ultimo secolo hanno visto progressi sociali ed economici maggiori rispetto ai paesi ricchi di petrolio e materie prime. Il motivo: la corruzione alimentata dal commercio e dalle concessioni allo sfruttamento.
Facendo benzina, ma anche comprando molte merci, si fanno affari e si finanziano alcuni dei peggiori regimi del mondo, autoritari, repressivi e talvolta anche sanguinari. L’acquisizione del petrolio da alcuni regimi autoritari è spesso dubbia (non sempre chi vende il petrolio ha titoli legali per farlo), ma questo non comporta conseguenze legali. Una volta che è arrivato in raffineria, il petrolio non ha cattivi odori.
Un esempio concreto di due pesi e due misure
Fra le tante casistiche esemplificate nel libro, l’autore invita a considerare il caso di persone omosessuali condannate a morte in Iran. Se queste fuggono in America, qui trovano protezione dalla condanna perché un tribunale americano giustamente rifiuterebbe di riconoscere la legge iraniana in tema di omosessualità. La maggior parte degli americani considererebbero intollerabile un comportamento diverso. Idem avverrebbe in Europa.
Facendo il pieno, invece, un americano può tranquillamente utilizzare petrolio proveniente dalla Guinea Equatoriale, governata sin dal 1979 da Teodoro Obiang. Secondo la legge della Guinea, Obiang è il proprietario assoluto del petrolio estratto nel paese. Ma una legge che assegna a una ristretta élite la proprietà assoluta delle risorse naturali di un certo paese non può essere riconosciuta legittima in un paese moderno e il commercio con tale paese dovrebbe essere scoraggiato. Però un’eventuale causa per ricettazione intentata da un cittadino della Guinea che si sentisse defraudato non avrebbe oggi nessuna possibilità di essere riconosciuta da un tribunale americano.
Analoghi problemi esistono con il commercio di petrolio con l’Arabia Saudita. Anche qui il petrolio viene assegnato in proprietà a una ristretta élite politica per antica tradizione religiosa.
“Molti stati privi di petrolio in genere sono diventati più ricchi, liberi e pacifici, mentre gli stati ricchi di petrolio non sono migliorati dal 1980. Molti stati petroliferi sono addirittura peggiorati. Il reddito medio nel Gabon si è dimezzato nei 25 anni dopo il 1980. Lunghi conflitti interni hanno devastato Algeria, Angola, Colombia e Nigeria. […] Gli stati petroliferi sono inoltre meno trasparenti e più volatili dal punto di vista finanziario e offrono alle donne meno opportunità nella politica e nel lavoro.“
La proposta dell’autore non è andare a fare la guerra nei paesi petroliferi, bensì riformare il commercio del petrolio inducendo i paesi europei a fare scelte etiche più coerenti con i propri principi nazionali di libertà e democrazia, evitando di fare affari con produttori di petrolio dalla dubbia morale e spesso privi di autentici diritti legali sul petrolio che oggi vendono con tanta facilità.
Da questa analisi risulta che il tamponamento auto-bici e la guida distratta da parte dell’automobilista rappresentano una proporzione molto alta degli incidenti auto-bici, smentendo le leggende urbane sui ciclisti “sempre indisciplinati”.
Come si vede nel grafico di Vox Tranportation qui sopra, i dati sono questi:
Tamponamento/sorpasso da dietro: 40%
Investimento laterale: 10%
Scontro frontale: 8%
Nessuna informazione: 7%
Auto sorpassa e volta a destra: 6%
Auto non dà la precedenza: 6%
Urto di striscio: 4%
Ciclista non dà la precedenza: 2%
Causa sconosciuta: 12%
Altre cause: 5%
Nell’indagine sono stati catalogate anche alcune caratteristiche dei diversi incidenti, quando queste erano rese note dagli articoli che ne parlavano. In numeri assoluti risulta che i comportamenti pericolosi sono principalmente degli automobilisti:
Guida distratta: 101 casi
L’automobilista fugge dopo l’incidente: 86 casi
Automobilista guida sotto alcol o droga: 28 casi
Il ciclista pedala dove non dovrebbe: 22 casi
Ciclista non dà la precedenza: 16 casi
Ciclista sul marciapiede: 8 casi
Per le modalità di raccolta dei dati, l’indagine non è definitiva né precisa al singolo caso, però le indicazioni generali segnalano che occorre lavorare sulla sicurezza soprattutto dal lato dei comportamenti degli automobilisti.
Le strade di città e le strade di campagna
Per esempio, nel caso degli incidenti sulle strade di campagna, dati oggettivi dimostrano che la maggior parte degli incidenti auto-bici avvengono lungo la strada e non agli incroci, il che denota che, salvo il caso di ciclisti suicidi che si buttano volontariamente sotto le ruote di macchine e camion, l’incidente avviene in genere per sorpassi imprudenti o pericolosi.
In campagna gli incidenti auto-bici avvengono più spesso lungo la strada e non agli incroci.
Viceversa negli ambienti urbani circa la metà degli incidenti auto-bici avvengono agli incroci, quindi si può ipotizzare sia un problema di comportamenti da parte di tutti, sia un problema di progettazione degli incroci, con maggiore protezione delle categorie deboli della strada. In Italia in prossimità degli incroci avvengono anche la maggior parte degli incidenti auto-pedone, spesso con diritto di precedenza del pedone.
Per confrontare, documento della Royal Society for Prevention of Accidents inglese sugli incidenti auto-bici nel Regno Unito nel 2014, con dati generalmente analoghi: cycling-accidents-factsheet
Gli automobilisti salgono anche sui marciapiedi per investire pedoni e ciclisti.
Dal rapporti ACI-Istat sugli incidenti stradali in Italia nel 2014:
Diminuiscono gli incidenti complessivi, aumentano i morti in città. Inoltre, aumentano i feriti gravi.
In base ai costi generali medi per incidente stradale calcolati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti2, si può stimare un costo totale per gli incidenti stradali con lesioni a persone pari a quasi 18 miliardi di euro, circa 4 miliardi in meno rispetto al 2010.
[Secondo questa stima, si tratta di circa 300 euro per ogni cittadino italiano (18 miliardi diviso 60 milioni).]
Nel 2014, in Italia si sono verificati 177.031 incidenti stradali con lesioni a persone, che hanno provocato la morte di 3.381 persone (entro il 30° giorno) e il ferimento di altre 251.147.
Rispetto al 2013, il numero di incidenti scende del 2,5%, quello dei feriti del 2,7% mentre per il numero dei morti la flessione è molto contenuta: -0,6%
Nella Ue28 le vittime di incidenti stradali nel 2014 sono state 25.896 (26.025 nel 2013).
Nel confronto fra il 2014 e il 2010 i decessi si riducono del 18,0% a livello europeo e del 17,8% in Italia.
Ogni milione di abitanti, nel 2014 ci sono stati 51 morti per incidente stradale nella Ue28 e 55,6 nel nostro Paese.
Nella graduatoria europea l’Italia si colloca al 15° posto, dietro Regno Unito, Spagna, Germania e Francia.
Per la prima volta – e in via sperimentale – è stato anche calcolato il numero dei feriti gravi in incidente stradale in Italia, secondo le indicazioni della Commissione europea. Nel 2014, sulla base dei dati di dimissione ospedaliera, i feriti gravi sono stati circa 15 mila, contro i 13 mila del 2013 (+16%). Il numero di feriti gravi in incidente stradale per ogni decesso, invece, è pari a 4,4 (3,8 nel 2013).
Sulle strade urbane italiane si sono verificati 133.598 incidenti, con 180.474 feriti e 1.505 vittime; sulle autostrade gli incidenti sono stati 9.148, con 15.290 feriti e 287 decessi. Sulle strade extraurbane, ad esclusione delle autostrade, gli incidenti ammontano a 34.285, i feriti a 55.383 e le vittime a 1.589.
Gli incidenti più gravi avvengono sulle strade extraurbane (escluse le autostrade), dove si sono registrati 4,63 decessi ogni 100 incidenti. Le vittime sono state invece 1,13 ogni 100 incidenti sulle strade urbane e 3,14 sulle autostrade. Il numero dei morti diminuisce su autostrade e strade extraurbane (-10,6% e -3,8% sull’anno precedente), aumenta, invece, sulle strade urbane (+5,4%).
Il venerdì è il giorno della settimana in cui si concentra il maggior numero di incidenti (27.201, pari al 15,4% del totale). La domenica avvengono, però, i sinistri più gravi (3,1 morti ogni 100 incidenti), seguita dal sabato (2,3). Nella fascia oraria notturna (tra le 22 e le 6 del mattino), l’indice è più elevato fuori città.
Nel 2014 si sono registrati 1.491 decessi tra conducenti e passeggeri di autovetture, seguono motociclisti (704), pedoni (578), ciclisti (273), occupanti di mezzi pesanti (159), ciclomotori (112) e altre modalità di trasporto (64).
L’indice di mortalità per i pedoni (morti ogni 100 incidenti) è ben quattro volte superiore rispetto a quello degli occupanti di autovetture (2,75 contro 0,67). Per i motociclisti e i ciclisti il valore dell’indice è, invece, più che doppio rispetto a quello degli automobilisti (1,69 e 1,41).
Il filmato qui sopra, che riporta 15 minuti di abituale vita quotidiana in una via di Roma recentemente ristrutturata, di fianco alla stazione Termini, dimostra bene come si “crea” il traffico: con le auto. Ad esempio, un’auto che bloccata in coda per 4 minuti a causa delle auto parcheggiate sulla carreggiata, parcheggia in modo irregolare a sua volta. Auto che intralciano sistematicamente altre auto, rallentando tutti e peggiorando la qualità della vita urbana per tutti.
Per comprendere la differenza con una città altamente ciclabile come Copenhagen, basta guardare il filmato qui sotto.
Nelle due foto sopra vediamo alcuni palazzi di Genova all’inizio del secolo scorso e oggi.
Nell’imediato dopoguerra, negli anni 50 del 1900, governi italiani e sindaci di molte città hanno deciso che lo sviluppo italiano passava per le autostrade e non per un più democratico miglioramento dei mezzi pubblici. E in una città e in una regione palesemente inadatte per le tangenziali e le autostrade a sei corsie, sono state costruite strade, autostrade e parcheggi a più non posso.
Con i risultati che vediamo nelle due immagini.
La mobilità italiana è diventata la mobilità automobilistica, basata sull’automobile privata (attualmente siamo la nazione europea con più auto per abitante). E tanto peggio per chi non vuole comprare l’auto privata, non può guidarla, o non può permettersi di comprarla e pargarne le numerose spese mensili.
Per documentare la lungimiranza di quelle scelte, va ricordato che anche il ponte Morandi, crollato nel 2018 per difetti costruttivi, fu costruito promettendo la soluzione ai problemi del traffico genovese. I problemi non sono mai stati risolti, il traffico è aumentato e peggiorato.
Qui sotto la copertina della Domenica del Corriere, il settimanale del Corriere della Sera, il più importante quotidiano italiano all’epoca, che nel 1964 prometteva la soluzione ai problemi del traffico genovese:
Qui altri articoli sul tema della viabilità a Genova (link alle fonti all’interno degli articoli):
I giornalisti di cronaca quando raccontano gli scontri stradali tendono a minimizzare le responsabilità di chi guida veicoli a motore, anche quando l’automobilista è l’ex sindaco della città. Qui una serie di articoli molto interessanti.
> La Tribuna di Treviso
Ex sindaco investitore protagonista nel titolo
‘Disavventura per l’ex sindaco’ nel sottotitolo (chissà invece come si è divertita la podista investita dall’auto dell’ex sindaco)
‘Disavventura per l’ex sindaco’ anche all’inizio dell’articolo, con immediata minimizzazione delle coseguenze per la donna investita (da un altra testata invece risulta che sia stata sbalzata di 5 metri e ricoverata in pronto soccorso per accertamenti, per essere dimessa in serata)
Primagiustificazione per l’automobilista (‘si è trovato di fronte di colpo la podista’)
Seconda giustificazione per l’automobilita (‘c’è stato un lieve impatto’)
Terza giustificazione per l’automobilista (‘andavo a 10 all’ora’)
Rammarico e scuse da parte dell’ex sindaco investitore (com’è sensibile…)
Il giornalista ha avuto modo di intervistare e citare con abbondanza l’ex sindaco, ma nessuno dei ‘diversi testimoni’ né la vittima.
Nessun cenno sul dettaglio, fondamentale, che la donna stava attraversando sulle strisce (risulta da altre testate).
> Il Gazzettino 1
Il Gazzettino il 15 aprile pubblica un primo articolo ‘innocentista’:
‘L’ex sindaco investe una runner’ nel titolo
‘Per fortuna andavo a 10 all’ora‘ nel titolo
Giustificazioni per l’ex sindaco nell’articolo (‘Me la sono trovata davanti, per fortuna andavo a 10 chilometri orari e l’ho appena toccata’; ‘l’impatto, se pur lieve, c’è stato’)
> Il Gazzettino 2
Il 16 aprile esce sempre sul Gazzettino un articolo che approfondisce e cambia tono:
Spettacolarizzazione dell’incidente nel titolo (‘Podista falciata dall’auto dello sceriffo’)
Citazione del ‘marito furioso: “Gli va tolta la patente”‘ nel titolo
Descrizione più realistica dell’incidente (‘La giovane è stata sbalzata di alcuni metri’)
Descrizione più realistica del ricovero in pronto soccorso (‘Non è mai stata in pericolo di vita, ma è rimasta nell’area dell’osservazione breve intensiva dell’ospedale di Treviso per le botte, gli ematomi e soprattutto per alcune ferite alla testa, subito suturate.’)
Lunga testimonianza del marito della podista infortunata in conclusione dell’articolo con l’importante dettaglio ‘lei è stata sbalzata oltre cinque metri dal passaggio pedonale’.
> SkyTG24
Molto minimizzatore e innocentista (per l’automobilista) SkyTG24:
‘Ex sindaco investe passante sulle strisce’ nel titolo
Descrizione minimizzatrice nel sottotitolo
Descrizione minimizzatrice e tutta dal punto di vista dell’ex sindaco automobilista all’inizio dell’articolo
> Analogo trattamento da parte di Adnkronos:
L’incidente anche qui viene raccontato tutto dal punto di vista dell’automobilista. Salvo il caso del secondo articolo del Gazzettino, negli articoli esaminati i giornalisti hanno avuto il tempo per sentire l’ex sindaco, ma non per sentire qualche testimone, gli agenti di polizia né la vittima.
In realtà, come risulta dal secondo articolo del Gazzettino, la donna investita sarebbe stata sbalzata di 5 metri, ricoverata in osservazione al Pronto soccorso per traumi ed ematomi, e medicata per ferite alla testa. Come si vede, non è necessario fare il processo a mezzo stampa all’automobilista. Però è sufficiente sentire dei testimoni per avere un quadro più chiaro (e meno minimizzatore) di quello che è avvenuto realmente.
È quindi evidente l’inconsapevole tendenza alla minimizzazione delle responsabilità dell’automobilista di tutti gli altri articoli, in cui l’incidente è stato raccontato tutto dal punto di vista dell’investitore, ◆
Qui cinque studi e ricerche sulle distorsioni, volute e non volute, della stampa sugli incidenti stradali e della percezione del pericolo delle automobili:
Gli articoli citati possono essere stati aggiornati o modificati dalle rispettive redazioni dopo la realizzazione degli screenshot o in epoche successive per inserire nuove informazioni o correggere refusi. Gli screenshot vengono ripresi a scopo di studio per documentare i tic linguistici e l’esatta redazione delle parti rilevanti dell’articolo.
Molte città italiane sono totalmente in preda alle auto: viabilità studiata per favorire l’uso dell’automobile privata, mezzi pubblici carenti e trascurati negli anni per favorire l’uso dell’automobile privata, sensi unici per ricavare posti auto, piste ciclabili sui marciapiedi per non togliere posti auto, strade senza marciapiedi o con marciapiedi strettissimi per ricavare posti auto.
È arrivato il momento di prendere delle decisioni importanti per rendere più vivibili le città e tutelare le persone, ovvero quegli utenti della strada che sono fondamentali per non soffocare le città di traffico e parcheggi dappertutto: donne, bambini, anziani, persone che camminano.
Ecco le due alternative:
O si tolgono posti auto per realizzare piste ciclabili, corsie preferenziali per i mezzi pubblici e allargare i marciapiedi e per realizzarli dove non ci sono,
Oppure si fanno zone 30 sempre più ampie, con strade a 20 e a 10 dove è il caso (strade scolastiche, strade molto strette, strade senza marciapiedi, strade senza pista ciclabile ma con intenso traffico ciclistico) in modo che le persone che si muovono a piedi e in bicicletta possano circolare con meno pericolo e maggiore agio.
Le automobili sono ingombranti, hanno bisogno di un sacco di spazio per circolare e parcheggiare e nei decenni passati l’hanno tolto a chi va a piedi e in bicicletta.
Siccome però ormai è dimostrato che l’auto privata come veicolo universale in città non funziona (nessuna città al mondo ha risolto il problema del traffico automobilistico e dei parcheggi usando l’auto come veicolo universale: sfido chiunque a dimostrare il contrario), allora è ormai evidente che l’automobile privata come veicolo universale deve ridimensionare le loro storiche pretese. Nelle città europee gli automobilisti in genere sono la minoranza degli utenti delle strade urbane: o rinunciano ai posti auto per fare marciapiedi, piste ciclabili e corsie prefereniali, oppure imparano a pigiare meno l’acceleratore quando transitano in aree urbane frequentate da pedoni e ciclisti, ringraziando anche il cielo, l’amministrazione pubblica e i cittadini se questi aumentano di numero e frequentano di piùle strade. Perché più i cittadini camminano, usano i mezzi pubblici e usano la bicicletta, meno traffico e congestione c’è anche per chi è costretto a usare l’automobile.
Quindi, in molti casi occorre scegliere: o le zone 30 (eccetto vie di scorrimento), o piste ciclabili, corsie preferenziali e marciapiedi al posto dei parcheggi mangiaspazio lungo le strade. Lasciare le cose come stanno non funziona: si vede dal traffico e dalla congestione automobilistica che c’è ogni giorno.◆
I giornalisti di cronaca tendono a raccontare gli incidenti stradali come se fossero eventi del tutto casuali, voluti dal destino, di cui non ha colpa nessuno, men che meno chi guida. Qui un esempio interessante:
‘Incidente in A1′ nel titolo: il termine ‘incidente’ è fondamentale per definire gli scontri stradali come prevalentemente o del tutto casuali
‘Camion si ribalta e va a fuoco’ nel titolo; nessun ruolo per il conducente
‘Italia divisa in due. Code e circolazione bloccata per ore’: i problemi per il traffico prevalgono sul tema di rischio e pericolo. E inoltre i problemi per il traffico non sono però un incentivo per individuare cause e rimedi per gli incidenti
Il camionista compare nell’articolo solo per comunicarci che è uscito da solo dal mezzo, illeso. Infrazioni? Errori nella guida? Stanchezza? Colpo di sonno? Sorpasso sbagliato? Non si sa, e probabilmente non si saprà mai.
Mentre il cronista non ha modo di approfondire le cause dell’incidente, è ricco di dettagli nell’informarci sulle conseguenze sul traffico e su consigli per evitare le code (se possibile)
La notizia è ‘in aggiornamento’, ma non si sa nulla delle cause dell’incidente. ◆
Qui cinque studi e ricerche sulle distorsioni, volute e non volute, della stampa sugli incidenti stradali e della percezione del pericolo delle automobili:
Gli articoli citati possono essere stati aggiornati o modificati dalle rispettive redazioni dopo la realizzazione degli screenshot o in epoche successive per inserire nuove informazioni o correggere refusi. Gli screenshot vengono ripresi a scopo di studio per documentare i tic linguistici e l’esatta redazione delle parti rilevanti dell’articolo.
In questi due video sono registrati due minuti di transito a campione in due orari diversi sul ponte ciclopedonale che fa parte del percorso della Ciclovia Tirrenica: alle 9.30 del mattino e alle 17.30 del pomeriggio di domenica 21 aprile.
Ore 9.30 circa
Persone in transito a piedi: 17
Persone in bicicletta: 9
Veicoli a motore: 25 (si vedono le sagome a sinistra, davanti alla collina sul ponte di via Colombo)
Le persone a piedi o in bicicletta (26) sono in numero paragonabile ai vecioli a motore (25). Il transito orario può essere stimato in circa 600-700 persone l’ora, e altrettanti sono i veicoli a motore.
Persone in transito a piedi: 30
Persone in bicicletta: 11
Veicoli a motore: 26 (si intravedono vedono le sagome in movimento a sinistra, vicino al cespuglio)
Anche a quest’ora le persone a piedi o in bicicletta (26) sono in numero paragonabile ai veicoli a motore (25). Anche a quest’ora il transito orario può essere stimato in circa 600-700 persone l’ora (10-12 persone al minuto), e altrettanti sono i veicoli a motore.
Ovviamente si tratta di stime orarie indicative. Però questi filmati dimostrano l’importanza del ponticello ciclopedonale per il traffico di turisti e residenti, particolarmente nelle giornate di grande affluenza turistica: il passaggio di persone a piedi e in bici è paragonabile, per numero, al transito di veicoli sul viale Colombo.
Qualcuno può obiettare che le automobili possono trasportare 5 persone (qualche modello fino a 7), ma la realtà del traffico automobilistico è che raramente in auto ci sono più di 1,5 persone, ovvero la maggior parte delle automobili hanno solo il guidatore a bordo.
È evidente quindi l’importanza tanto del ponticello quanto della Ciclovia Tirrenica sia per gli spostamenti locali, sia per il turismo: con la crescita del cicloturismo il transito non può che aumentare, rendendo fondamentale la creazione anche di nuove piste ciclabili parallele per affiancare quella esistente, e nuove piste ciclabili mare-monti per andare nell’interno e creare percorsi alternativi sicuri per le persone a piedi e in bici quando la Ciclovia Tirrenica e il ponte devono essere chiusi per lavori.
Qui altri video analoghi sulla pista ciclabile lungomare e sul ponte ciclopedonale. In numerosi casi il transito di persone in bicicletta è superiore al transito di auto, furgoni e scooter sulla strada accanto.
I giornalisti di cronaca tendono a minimizzare le responsabilità degli automobilisti, usando diversi schemi spesso inconsapevoli.
Qui un esempio interessante:
‘Incidente a Roma’: lo scontro viene presentato come un fatto casuale, di cui non ha colpa nessuo
Vittima protagonista nel titolo (‘motociclista di 77 anni muore’)
‘Motociclista muore dopo uno scontro con un’auto‘: la persona si scontra con un oggetto
Attenuante per l’automobilista nel sottotitolo e nell’articolo (‘si è subito fermata a prestare i primi soccorsi’)
Pseudo-ricostruzione dell’incidente (‘una moto Bmw guidata da un 77enne si è scontrata con una Fiat Panda’.
Pseudo-ricostruzione alla fine dell’articolo: ‘Ulteriori indagini sono tuttora in corso da parte degli agenti del I Gruppo Prati della Polizia Locale per ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente.’
Nel titolo il motociclista è protagonista, come se l’iniziativa dello scontro fosse venuta da lui. L’automobilista non viene nominata, se non nel sottotitolo, dove si sottolinea che si è fermata a prestare i primi soccorsi, apparentemente del tutto inutili visto che il motociclista è morto ‘subito dopo l’impatto’.
Come fa il cronista a conoscere l’età della vittima, quella dell’automobilista, e a sapere che quest’ultima si è fermata a prestare i primi soccorsi, ma questo senza conoscere nessun dettaglio dello scontro?
Con questo tipo di presentazione superficiale, gli scontri stradali sembrano incidenti del tutto fortuiti, dovuti a cause ignote, e di cui nessuno ha nessuna responsabilità.
I problemi di velocità eccessiva, infrazioni, errori alla guida raramente vengono nominati (salvo il caso di pirati che fuggono o di automobilisti che risultano positivi all’alcoltest prima che l’articolo vada online o in stampa), le cause raramente vengono né individuate né ipotizzate: tutto è affidato alle forze dell’ordine che chiariranno la dinamica. Di cui non verremo a sapere mai niente. È come se gli incidenti sul lavoro, gli omicidi e i femminicidi venissero liquidati con ‘Ulteriori indagini sono tuttora in corso da parte degli agenti per ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente.’
Qualcuno può obiettare: ‘non si possono confrontare gli incidenti stradali con morti sul lavoro e gli omicidi.’ Certo: i morti per incidenti stradali sono molti di più, quasi il doppio: in Italia ci sono oltre 3.000 l’anno, quasi dieci al giorno. A cui vanno aggiunti circa 250.000 feriti.◆
Qui cinque studi e ricerche sulle distorsioni, volute e non volute, della stampa sugli incidenti stradali e della percezione del pericolo delle automobili:
Gli articoli citati possono essere stati aggiornati o modificati dalle rispettive redazioni dopo la realizzazione degli screenshot o in epoche successive per inserire nuove informazioni o correggere refusi. Gli screenshot vengono ripresi a scopo di studio per documentare i tic linguistici e l’esatta redazione delle parti rilevanti dell’articolo.
Ecco una serie di obiezioni standard per opporsi ai limiti a 30. Nelle discussioni da bar e da social network si possono usare a rotazione, all’infinito. Possono essere usate dai leghisti, il cui segretario e ministro delle infrastrutture Salvini è in prima linea per ostacolare le città a 30 km/h, ma anche da persone e automobilisti di ogni orientamento politico.
(Oltre alle obiezioni, per le persone intelligenti ci sono anche le risposte)
‘Perché non andare a 20, a 10 o magari a 5 km/h?’ Perché fra andare a 30 e andare a 50 c’è una grossa differenza: la distanza di arresto raddoppia, e la forza cinetica dell’impatto in caso di incidente triplica (qui è spiegato perché). Invece diminuendo la velocità delle automobili a 20 o a 10 i vantaggi sono minimi, salvo casi particolari (strade scolastiche, strade senza marciapiedi, strade molto strette, eccetera)
‘Se si sta a casa gli incidenti si riducono ancora di più.’ Valgono le stesse considerazioni del punto 1.
‘Se vado a 30 mi si spegne la macchina.’ Forse non sai guidare
‘A 30 km/h la mia auto sobbalza.’ Forse non sai guidare, oppure hai comprato un’auto inadatta per guidare in città.
‘Le auto moderne non sono fatte per andare a 30 km/h.’ Salvo alcune auto sportive, è una fesseria. Se la tua auto ha problemi ad andare a 20-30 km/h o non è adatta per circolare in città, oppure non sai guidare.
‘In bicicletta si va più veloci.’ Sì, se sei un ciclista sportivo ben allenato. La maggior parte dei ciclisti urbani pedala normalmente a 8-15 km/h. Pedalano più veloci i ciclisti giovani e i rider che fanno le consegne, ma difficilmente in città tengono i 30 km/h. Chi usa la bicicletta elettrica a pedalata assistita può pedalare a 15-20 km/h; raramente supera i 25 km/h, a meno che la sua bici non sia truccata e quindi irregolare e a rischio di sequestro e multone (in una bici elettrica regolare, il motore smette di fornire assistenza alla pedalata a 25 km/h). Inutile poi aggiungere che la maggior parte degli automobilisti sedentari, magari anche sovrappeso, sono ben lontani dal pedalare a 30 km/h.
‘A 30 conviene scendere e spingere.’ Bravo, fallo e scoprirai da solo la differenza.
‘Servono per fare cassah’. Un’altra sciocchezza: in Italia mettere gli autovelox nelle zone con limite a 30 è molto complicato e servono autorizzazioni speciali. Quindi non è per niente facile fare più multe con i limiti a 30.
‘A 30 km/h si consuma e si inquina di più.’ Chi fa questa obiezione dovrebbe rifare l’esame di teoria perché non ha capito come funziona un motore termico. È vero che, su un percorso regolare di diversi km, come per esempio su una superstrada, a 50 km/h si consuma meno rispetto ad andare a 30. MA: nel percorso misto urbano, pieno di interruzioni, imprevisti e discontinuità, tenere una velocità regolare a 20-30 consente di consumare meno rispetto a cambiare marcia, accelerare e frenare per cercare di andare alla massima velocità possibile per poche decine di metri ogni tanto. È confermato da una prova informale della testata Al Volante, ma anche da studi scientifici della società di ingegneria Polinomia, e del Politecnico di Madrid.
Conosci altre obiezioni come queste? Indicale nei commenti per aggiornare l’articolo e fornire un utile servizio agli automobilisti che vogliono polemizzare. Grazie.
Qui dati e fatti concreti sul limite a 30 in città (eccetto vie di scorrimento), un limite applicato con successo in migliaia di città in Europa, dove ha ridotto incidenti, morti e feriti (link alle fonti all’interno degli articoli):
I giornalisti di cronaca quando descrivono gli incidenti stradali spesso minimizzano inconsapevolmente le responsabilità degli automobilisti. Un modo è non nominarli nemmeno, come se l’auto avesse fatto tutto da sola, oppure se fosse stata guidata dall’uomo invisibile. Qui un esempio:
Vittima protagonista nel titolo
Auto animata all’inizio dell’articolo
Auto animata ed eufemismo nella descrizione dell’incidente (‘la vittima di circa 60 anni è stata colpita da una vettura’)
Il giornalista conosce l’età della vittima ma non sa dire nulla sulle cause dell’incidente
Pseudo-informazione in conclusione dell’articolo: ‘Sul posto sono intervenuti gli agenti della polizia locale a cui spetta il compito di chiarire la dinamica ed effettuare i rilievi del caso.’
Nonostante lo ‘schianto’ e il fatto che la vittima sia stata ‘sbalzata di 10 metri’ per il giornalista è impossibile fare l’ipotesi che l’automobilista guidasse un po’ troppo veloce per le condizioni della strada e del traffico.
Sembra che i giornalisti e gli automobilisti non conoscano l’articolo 141 del Codice della strada che prescrive di mantenere sempre una velocità adeguata alle condizioni della strada e del traffico, in modo da mantenere sempre il controllo del veicolo. Qui il controllo del veicolo è mancato: forse l’automobilisa correva troppo? Non si sa.◆
Qui cinque studi e ricerche sulle distorsioni, volute e non volute, della stampa sugli incidenti stradali e della percezione del pericolo delle automobili:
Gli articoli citati possono essere stati aggiornati o modificati dalle rispettive redazioni dopo la realizzazione degli screenshot o in epoche successive per inserire nuove informazioni o correggere refusi. Gli screenshot vengono ripresi a scopo di studio per documentare i tic linguistici e l’esatta redazione delle parti rilevanti dell’articolo.
I dati Istat dicono che a Camaiore ci sono circa 300 incidenti e scontri stradali ogni anno (quasi uno al giorno), con diversi morti e molti feriti che richiedono un intervento della polizia e del pronto soccorso (questo senza contare i numerosi incidenti senza feriti e senza intervento delle forze dell’ordine, quelli che si risolvono con la compilazione della constatazione amichevole).
Il limite a 30 (eccetto vie di scorrimento) potrebbe ridurre questi incidenti dal 10 al 30%, ovvero da 20 a 60 incidenti in meno l’anno, con analoga riduzione in morti e feriti, senza contare la riduzione per i danni materiali e per la sofferenza dei familiari delle vittime.
Andrebbe inoltre previsto un ulteriore limite a 20, con precedenza a pedoni e ciclisti, in tutte le strade dove c’è l’ingresso di una scuola (vie scolastiche) e in tutte le strade nel centro abitato prive di marciapiedi o con marciapiedi molto stretti. In tutti i quartieri di Viareggio ci sono numerose strade strette e senza marciapiedi o con marciapiedi ridottissimi, in cui la circolazione dei pedoni è spesso messa in pericolo dagli automobilisti.
Il provvedimento, oltre alla maggiore sicurezza per ciclisti e pedoni, comporterebbe meno rumore e meno pericolo per tutti, automobilisti compresi. Questo senza particolari penalizzazioni per i tempi di percorrenza, che in genere non traggono alcun vantaggio dalla possibilità di correre per brevi tratti.
Chi si oppone al limite a 30 nelle strade in area urbana (eccetto vie di scorrimento) lo fa per ideologia e perché gli piace correre in automobile a scapito della sicurezza. Qui è spiegato perché. ◆
Qui sotto altri articoli sul tema del limite a 30 km/h (link alle fonti all’interno degli articoli).
Zone 30 e limite a 30, casistiche, studi e vantaggi:
I crash test delle case automobilistiche vengono normalmente fatti a 55 km/h e si calcola che sia molto difficile sopravvivere a un urto contro un ostacolo fisso a 80 km/h, anche se non è impossibile (per chi ha molta fortuna).
Come si vede dal diagramma sopra, per chi è a bordo di un veicolo, mediamente probabilità di morte crescono quasi verticalmente sopra i 50 km/h, per essere quasi 100% sopra i 120 km/h. Questo significa anche che, sopra i 40-50 km/h è difficile avere un incidente in auto senza un colpo di frusta, un naso rotto per l’urto contro l’airbag, delle costole rotte per la pressione contro la cintura di sicurezza, e danni fisici anche peggiori man mano che sale la velocità, fino a danni permanenti che non guariscono mai o che richiedono mesi o anni di fisioterapia (ovviamente al crescere della velocità, crescono le possibilità di danni e traumi).
La differenza fra pedoni e automobilisti? 40 km/h
È interessante anche notare che il differenziale di velocità fra gli utenti vulnerabili per eccellenza, i pedoni e i ciclisti, con gli utenti corazzati per eccellenza, gli automobilisti, è di soli 40 km/h nel caso di incidenti frontali, e di circa 20 km/h nel caso di collisioni laterali. Questo significa che basta andare a 40 km/h in macchina per cominciare a correre gli stessi rischi di chi pedala in bicicletta nel traffico. Questo tanto per dire quanto è elevata, nella realtà, la sicurezza delle automobili: sicure come carri armati sotto i 40 km/h, sempre più pericolose – per l’automobilista e per gli altri – a velocità superiori.
Ovviamente la sicurezza relativa di una particolare automobile dipende anche da marca e modello: una supercar equipaggiata con il meglio della tecnologia è generalmente più sicura di un’utilitaria economica, però anche per gli automobilisti che guidano Porsche, Ferrari o Lamborghini è sempre consigliabile evitare gli scontri frontali. Inoltre anche la massa ha una sua importanza: in uno scontro frontale il veicolo più piccolo e leggero ha la peggio: nello scontro fra un’utilitaria e un camion, l’utilitaria viene distrutta e l’automobilista corre brutti rischi, mentre il camionista ha maggiori probabilità di cavarsela senza troppi danni. Infine anche la propria età e forma fisica sono un fattore rilevante: a parità di ogni altro fattore, un trentacinquenne in buona forma fisica se la cava meglio di un sessantenne sedentario, sovrappeso e con patologie croniche.
I 50 km/h sono una velocità a torto considerata ‘sicura’: invece è la velocità in cui i rischi cominciano a salire per automobilisti e passeggeri, e diventano intollerabili per pedoni e ciclisti. In uno scontro a 50 km/h le probabilità di sopravvivenza di un pedone o un ciclista sono circa del 20%: ovvero nell’80% dei casi il pedone o il ciclista muoiono sul colpo o in breve tempo.
Anche 130 km/h sono una velocità che, in situazione autostradale, alcuni automobilisti ignoranti e alcuni politici senza scrupoli considerano ‘sicura’, al punto che vorrebbero alzare i limiti a 150 su alcuni tratti di autostrada. Invece i 130 km/h sono una velocità in cui poche persone che hanno un incidente possono sopravvivere per raccontarlo.
Nel caso di un incidente a 130 km/h forse puoi avere delle probabilità di sopravvivenza se hai un’auto molto sicura, con airbag frontale e laterali efficienti, se hai le cinture allacciate (se non hai allacciato le cinture, scordatelo), se l’urto non è laterale, se la velocità dell’auto non viene decelerata troppo rapidamente (per esempio con una lunga strisciata contro un guard rail che assorbe parte dell’urto), se godi di una preparazione atletica eccellente, se Dio decide di proteggere proprio te in quel momento. C’è anche chi è sopravvissuto a cadute da un aereo senza paracadute. Ma non conterei troppo nella ripetizione dell’esploit.
In generale le auto sono sicure come carri armati fino a 40 km/h circa, poi il livello di pericolosità incomincia a salire. Molto di più di quel che pensano gli automobilisti. ◆